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giovedì 9 ottobre 2008

Donne operaie raccontate da Giulia Fazzi

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 09 OTTOBRE 2008
























 
TORNA IL CANTIERE DELLE PAROLE
 
Bolzano, domani doppio appuntamento con l’autrice di «Ferita di guerra»
 
DANIELA MIMMI


Le ferite di guerra di Lisa non sono quelle ricevute su un campo di battaglia, ma nel suo ambiente di lavoro.

 Lisa, un’operaia di Carpi che subisce contemporaneamente la doppia umiliazione del mobbing e della violenza sessuale da parte del suo capo, è la protagonista di «Ferita di guerra» che la giovane scrittrice emiliana Giulia Fazzi presenterà domani nel terzo appuntamento della Rassegna «Il Cantiere delle Parole»: alle ore 15.30 Centro Giovani Vispa Teresa, in Via Ortles 31 e alle 21 presso la Biblioteca Ortles, in Via Ortles 19.

 Perchè una giovane scrittrice che non fa l’operaia, non ha mai vissuto una storia simile, è sì anche lei di Carpi ma questa è l’unica in comune con Lisa, decide di scrivere un libro così crudo e così scomodo?

 «Ho avuto in mente questa storia per molto tempo prima di cominciare a scriverla, ma non ricordo com’è nata. Sicuramente mi ha influenzata la mia città, che per anni è stata la capitale della piccola industria del tessile-abbigliamento, motore della sua economia e del benessere del Dopoguerra. Ho sentito tante storie di chi lavorava in aziende simili a quelle descritte nel romanzo. Volevo scrivere la storia di un’operaia, perché io vengo da una famiglia operaia, e di una giovane donna testarda e coraggiosa. Volevo scrivere del mondo del lavoro e di come sia difficile sopravvivere cercando di conservare la propria dignità in un ambiente governato dalla negazione dei diritti».

Ha voluto scrivere di proposito un romanzo così crudo?

 «No, nessun proposito. La storia è cruda di suo e di conseguenza anche il mio linguaggio doveva esserlo. Lisa, la protagonista, è una donna che diventa capace di guardare in faccia l’orrore delle sue “ferite di guerra” e la mia scrittura la accompagna in questo cammino dolorosissimo».

Il suo potrebbe sembrare un libro di impegno in un periodo in cui l’impegno non esiste più, o sbaglio?

 «Non so se impegno sia la parola giusta. Certamente è un libro politico perché parla di lavoro, di conflitti di classe, di potere. C’è uno scontro tra una donna e un uomo, ma soprattutto tra un’operaia e il padrone. C’è una fabbrica, ci sono gli spazi di questa fabbrica e quelli di una città con i suoi meccanismi economici e sociali che schiacciano chi non si adegua, chi è fuori dal coro e non si piega alla logica del “siamo tutti una famiglia”. Lo stupro che Lisa subisce è prima di tutto un atto di sopraffazione politica, di punizione per il suo essere una donna libera».

Il “coro” delle donne-colleghe-amiche nella loro passività è forse peggio o uguale allo stupratore. Pensa veramente che tra donne non ci sia solidarietà o è solo un caso limite?

 «Il problema non è la mancanza di solidarietà fra donne, ma la negazione di un comune sentire fra “pari”, la mancata condivisione di un vissuto come operaie sfruttate. Nel libro ognuna delle operaie pensa per sé per paura, indifferenza o chiara ostilità verso Lisa. Temo che nella realtà le cose non siano tanto diverse».

Nel suo libro denuncia la violenza, il mobbing, ecc. ma anche la società borghese delle cittadine di provincia.

 «Una volta, a una presentazione in un paese vicino al mio, una signora disse che ci era rimasta male per come i modenesi o gli emiliani in genere venivano ritratti nel libro. Carpi ne esce come una città indifferente, distratta dall’apparenza e dalla superficialità e allo stesso tempo pettegola, maligna. Come tutte le piccole città di provincia, Carpi è anche così. Viviamo ancora sulla gloria dei bei tempi andati, quando c’era un’industria che tirava e i grandi marchi della nostra moda facevano il giro del mondo. Pensiamo che il nostro piccolo mondo sia tutto il mondo».

Pensa che le donne nella vita di tutti i giorni siano ancora tanto lontane dalla parità?

 «Le statistiche parlano chiaro. A parità di ruolo, le donne sono meno pagate degli uomini, viene loro imposto di scegliere fra la carriera e la famiglia, sono penalizzate quando vanno in maternità, non sono adeguatamente rappresentate in parlamento e al governo. Nel mondo del lavoro la situazione è pessima. E sugli altri ambiti c’è da piangere. Subiamo, ancora, fin da bambine, modelli seduttivi di femminilità distorta. La violenza è fra le principali cause di lesioni permanenti e di morte. Se penso che ai colloqui di lavoro è prassi chiedere a una donna se ha intenzione o meno di fare dei figli, vuol dire che la parità completa è ancora lontana».

E che cosa possiamo fare?

 «Ci vorrebbe una rivoluzione culturale che investisse soprattutto gli uomini. È sul genere maschile che bisogna lavorare, sull’educazione e sulla cultura».

Qualche anticipazione sul nuovo romanzo che sta scrivendo?

 «È la storia di un piccolo paese e di tre donne diverse. Tutto sembra tranquillo, in realtà i conflitti si agitano nell’ombra ed esplodono, rivelando cattiverie, rancori, violenze, e un odio che non si riesce ad arginare».

A Bolzano incontrerà anche i giovani. Cosa consiglia a un ragazzo intenzionato a fare lo scrittore?

 «Prima di tutto di essere un grande lettore. Leggere tanto, di tutto, sempre. E poi per scrivere bisogna scrivere e ancora scrivere. Sembra una banalità, ma è così che si comincia, scrivendo. Ed esercitandosi giorno dopo giorno, così come bisogna esercitarsi per imparare a suonare bene uno strumento o allenarsi a lungo per correre una maratona».










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