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giovedì 16 ottobre 2008

«Quindici milioni di poveri, ma si spende per le banche»
















Presentato l'ottavo rapporto Caritas.

Ferrero: è questa la vera emergenza
 
Romina Velchi


Che siano tempi di vacche grasse o di crisi finanziarie globali; di boom economico o di recessione, loro, i poveri, sono sempre lì; e sempre più poveri: il lato oscuro (e oscurato) delle nostre società opulente e sprecone. La prova provata (drammaticamente in carne e ossa) che la tesi «seducente» secondo la quale «la povertà potrà essere ridotta grazie allo sviluppo economico» semplicemente è falsa. Lo hanno ribadito ieri chiaro e tondo Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, e Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, presentando l'ottavo rapporto su emarginazione ed esclusione sociale "Ripartire dai poveri": «Se questa tesi fosse vera, negli Usa non dovrebbero esserci 13 milioni di bambini in condizione di povertà. Evidentemente la questione povertà non è un incidente "da poco sviluppo". E', invece, fortemente radicata nelle economie occidentali».

Anche per questo il focus quest'anno non è sui dati, sui numeri. Noti e stranoti, la Caritas si limita a citare quelli dell'Istat: in Italia sono 15 milioni, tra poveri "certificati" (cioè coloro costretti a vivere con meno 500-600 euro al mese) e "quasi poveri" (cioè coloro che, guadagnando tra i 10 e i 50 euro in più, sono lì lì). Come ricorda Marco Revelli, presidente della Commissione di indagine sull'esclusione sociale, la stragrande maggioranza delle famiglie povere (il 65%) si trova al Sud. E neanche questa è una novità. Ne deriva che «da decenni la povertà è in stallo», visto che «con riferimento all'Europa dei 15, l'Italia presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà», pur essendo, noi, classificati tra le dieci nazioni più ricche del mondo.

Evidentemente c'è un problema tutto italiano. Che l'organizzazione cattolica che fu presieduta da monsignor Di Liegro mette a nudo con grande chiarezza, avanzando proposte concrete. Proposte e idee che possono anche non piacere, ma con le quali è obbligatorio confrontarsi se non ci si vuole «rassegnare alla povertà», come sembra voler fare, invece, la politica: del governo non era presente nemmeno un sottosegretario.

Il problema italiano, dice la Caritas, è di ordine economico, ma non solo. E' vero, infatti, che, per esempio, l'Inghilterra destina alla lotta all'esclusione sociale risorse 17 volte superiori a quelle dell'Italia (1,7% del Pil, contro 0,1) e che la media europea è nove volte maggiore. Ma è anche vero che quello che noi spendiamo - che comunque non è poco - manca completamente il bersaglio: le politiche sociali in Italia appaiono di fatto inefficaci. Le cifre la ha indicate Revelli: gli interventi pubblici nel nostro paese abbassano il tasso di povertà relativa di appena 4 punti percentuali, a fronte di una media europea che è di 10 punti, e che diventano ancora più miserabili se paragonati agli 11 dell'Olanda, ai 12 della Francia o ai 17 della Norvegia.

Insomma, l'Italia spende poco e pure male. Secondo Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan, ciò è dovuto principalmente al fatto che «manca da sempre un piano contro la povertà. Si fanno interventi settoriali e parziali, ma non c'è un progetto globale». «Assistiamo, in questi giorni - aggiunge Vittorio Nozza - a montagne di soldi pubblici che corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Ci si domanda: perché non fare altrettanto per considerare in modo strutturato e quindi soccorrerere concretamente chi sta nel bisogno grave e lotta quotidianamente per sopravvivere all'indigenza e alla precarietà?». Mentre oggi il pericolo, dal quale mette in guardia Revelli, è che, a crisi galoppante, si finisca con il confondere povertà e impoverimento. Cioè che l'attenzione - sociale e politica - sia tutta assorbita dalle classi che rischiano di impoverirsi, facendo dimenticare chi povero lo è già da un pezzo. «La vera emergenza del paese è questa - accusa il segretario del Prc, Paolo Ferrero - quella dei 15 milioni di poveri e di un governo che non si occupa minimamente di loro né dei lavoratori o dei pensionati, ma solo di banche e banchieri».

Due sono, si sostiene nel rapporto, le "storture" da correggere: l'aver finora privilegiato i trasferimenti monetari a scapito dei servizi (visto che proprio «i paesi che investono di più in servizi piuttosto che in trasferimenti monetari» sono quelli le cui politiche sociali ottengono le migliori performance) e la gestione ancora in gran parte centralizzata della spesa sociale. Nel primo caso, ciò significherebbe «offrire risposte ai problemi della povertà senza aumentare la spesa complessiva» attraverso una sorta di «negoziazione sociale» al fine di trasformare «in servizi una parte degli attuali trasferimenti» nei settori delle indennità di accompagnamento e degli assegni familiari; senza comunque «mettere in discussione i diritti acquisiti», ci tiene a sottolineare Tiziano Vecchiato. Un modo per «applicare seriamente il principio di equità sociale e di universalismo selettivo, ponendo fine alle rendite di posizione e agli interventi a pioggia».

Nel secondo caso si vuole «puntare alla realizzazione di strategie territoriali integrate: piani di azione a lungo termine con cui accostarsi alle questioni sociali, facendo perno sui territori e promuovendo l'integrazione». Ma con una avvertenza, interviene Revelli: «Che i territori siano sani».





LIBERAZIONE - 16/10/2008

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