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lunedì 2 febbraio 2009

Ordine del giorno "Omniscom"






Pubblichiamo la traccia del nostro intervento sull'OdG presentato dai consiglieri del centrodestra - ed in seguito ritirato- in merito alle conseguenze occupazionali della vicenda "Omniscom".





È evidente che quando si parla di posti di lavoro in pericolo la nostra attenzione non può essere che massima e qualsiasi strumento venga proposto per evitare che dei lavoratori perdano il proprio posto non può che vederci favorevoli.


 


Devo dire però che leggendo attentamente il testo della mozione la cosa che balza subito agli occhi è la mancata citazione dei livelli più bassi. Altra dimenticanza di non poco conto è l’indotto con tutta una serie di figure professionali a cui vengono esternalizzate una serie di mansioni e che in un processo di razionalizzazione e accorpamento rischiano seriamente di perdere gli appalti e di trovarsi per strada con i loro dipendenti.


Non è poi escluso in un processo di concentrazione che alcune filiali, meno produttive vengano chiuse e a nostro avviso non bastano le rassicurazioni dei dirigenti. Basta parlare con qualsiasi cassiera o commessa di questi esercizi per rendersene conto.


 


A nostro parere dunque si tratta di dimenticanze gravi.


 


Alla fine dello scorso consiglio siamo stati poi  invitati a leggere con attenzione la mozione e ci è stato suggerito che si trattava di un intervento "ad personam." Abbiamo accolto con piacere l’invito perché è evidente che se parliamo dell’amministratore delegato di Omniscom o di non ben precisati alti dirigenti ( mi si dica quanto guadagnano e la funzione che svolgono nell’azienda, se siano dotati di autonomia o meno, ecc)  che sono a rischio di perdere il posto, poco può importarcene, essendo lautamente pagati proprio perché nel loro stipendio è incluso il rischio del licenziamento.


 


Diverso è il discorso per quelle figure che vengono indicate come quadri e impiegati e ancor più per le figure professionali con mansioni più basse:


il commercio è una giungla in cui sempre più spesso parlare di diritti è un eufemismo, i contratti sono quasi sempre disattesi, il rispetto dell’orario di lavoro, delle mansioni delle ferie, ecc. sono nella discrezione assoluta delle aziende.


 


Se si conosce qualcuno che lavora nel settore si sentono cose inaudite e le aziende giocano sulla divisione dei lavoratori per imporre le loro condizioni. Qualche euro in più e la qualifica di quadro, di responsabile di filiale, di caporeparto,… e il gioco è fatto. 


Ma parliamo pur sempre di lavoratori che in busta paga percepiscono al massimo, secondo i contratti, poco più di  2.000 Euro lordi.


È a questi lavoratori che si pensa? Sarebbe bene esplicitare chiaramente il proprio pensiero anche da parte di chi vi vede la sponsorizzazione di qualche alto dirigente.


 


La mozione andrebbe dunque quantomeno integrata, ma al di là delle intenzioni vale la sostanza: e cioè l’invito ad aprire un tavolo di confronto.


Propongo però di emendare la mozione sostituendo almeno “quadri, dirigenti e impiegati”  con “dipendenti”  “personale dipendente” o meglio con “lavoratori del settore e dell’indotto”.


 


In caso contrario non posso andare al di là di un’astensione.

Ordine del giorno "Omniscom"






Pubblichiamo la traccia del nostro intervento sull'OdG presentato dai consiglieri del centrodestra - ed in seguito ritirato- in merito alle conseguenze occupazionali della vicenda "Omniscom".





È evidente che quando si parla di posti di lavoro in pericolo la nostra attenzione non può essere che massima e qualsiasi strumento venga proposto per evitare che dei lavoratori perdano il proprio posto non può che vederci favorevoli.


 


Devo dire però che leggendo attentamente il testo della mozione la cosa che balza subito agli occhi è la mancata citazione dei livelli più bassi. Altra dimenticanza di non poco conto è l’indotto con tutta una serie di figure professionali a cui vengono esternalizzate una serie di mansioni e che in un processo di razionalizzazione e accorpamento rischiano seriamente di perdere gli appalti e di trovarsi per strada con i loro dipendenti.


Non è poi escluso in un processo di concentrazione che alcune filiali, meno produttive vengano chiuse e a nostro avviso non bastano le rassicurazioni dei dirigenti. Basta parlare con qualsiasi cassiera o commessa di questi esercizi per rendersene conto.


 


A nostro parere dunque si tratta di dimenticanze gravi.


 


Alla fine dello scorso consiglio siamo stati poi  invitati a leggere con attenzione la mozione e ci è stato suggerito che si trattava di un intervento "ad personam." Abbiamo accolto con piacere l’invito perché è evidente che se parliamo dell’amministratore delegato di Omniscom o di non ben precisati alti dirigenti ( mi si dica quanto guadagnano e la funzione che svolgono nell’azienda, se siano dotati di autonomia o meno, ecc)  che sono a rischio di perdere il posto, poco può importarcene, essendo lautamente pagati proprio perché nel loro stipendio è incluso il rischio del licenziamento.


 


Diverso è il discorso per quelle figure che vengono indicate come quadri e impiegati e ancor più per le figure professionali con mansioni più basse:


il commercio è una giungla in cui sempre più spesso parlare di diritti è un eufemismo, i contratti sono quasi sempre disattesi, il rispetto dell’orario di lavoro, delle mansioni delle ferie, ecc. sono nella discrezione assoluta delle aziende.


 


Se si conosce qualcuno che lavora nel settore si sentono cose inaudite e le aziende giocano sulla divisione dei lavoratori per imporre le loro condizioni. Qualche euro in più e la qualifica di quadro, di responsabile di filiale, di caporeparto,… e il gioco è fatto. 


Ma parliamo pur sempre di lavoratori che in busta paga percepiscono al massimo, secondo i contratti, poco più di  2.000 Euro lordi.


È a questi lavoratori che si pensa? Sarebbe bene esplicitare chiaramente il proprio pensiero anche da parte di chi vi vede la sponsorizzazione di qualche alto dirigente.


 


La mozione andrebbe dunque quantomeno integrata, ma al di là delle intenzioni vale la sostanza: e cioè l’invito ad aprire un tavolo di confronto.


Propongo però di emendare la mozione sostituendo almeno “quadri, dirigenti e impiegati”  con “dipendenti”  “personale dipendente” o meglio con “lavoratori del settore e dell’indotto”.


 


In caso contrario non posso andare al di là di un’astensione.

domenica 1 febbraio 2009

«Attenzione, è guerra tra proletari ma gli operai inglesi non sono leghisti»



Manifestazione dei lavoratori della raffineria Total Lindsey contro gli operai italiani e ...



Tonino Bucci



British jobs for british workers. Con questo slogan - lavori britannici per lavoratori britannici - mezza dozzina di raffinerie sono scese in sciopero. Lo hanno in solidarietà con la Lindsey, uno stabilimento sulla costa orientale controllato da una società francese, i cui operai sono entrati in rivolta non appena saputo dell'assunzione di un gruppo di italiani all'indomani di una gara d'appalto. La proverbiale stampa scandalistica inglese l'ha subito messa sul piano della xenofobia, italiani contro inglesi. Però l'effetto immediato della protesta, sostenuta anche dai sindacati locali, è quello. Gli operai inglesi si lamentano per la concorrenza "sleale" dei lavoratori italiani, disponibili ad accettare un posto di lavoro a paghe più basse di quelle normalmente percepite in Gran Bretagna. Le maestranze delle raffinerie dicono che gli italiani gli rubano il posto, che "li hanno presi perché sono pagati meno, ma non sanno lavorare". Insomma, non si può negare che gli operai inglesi siano vittime di un meccanismo economico che porta al ribasso delle condizioni lavorative, epperò qualche segnale inquietante c'è - come sostiene Marco Revelli - in questo intreccio tra voglia di protezionismo e rischio di una resipiscenza della guerra tra popoli e razze.



Nazionalismo e competizione tra lavoratori di diversa nazionalità. La peggiore via di uscita alla crisi che si possa pensare, no?

Mi sembra un segnale inquietante di come la crisi morde sulla società. Non va sottovalutato. Andremo incontro a effetti mostruosi se non ci saranno culture politiche capaci di filtrare gli effetti regressivi della crisi economica e di governarne l'impatto sociale. Sarà la guerra tra poveri se non si costruiscono anticorpi nella cultura politica. C'è un istinto primordiale alla chiusura nazionalistica che si diffonde in tutti i paesi. La crisi enfatizza tutte le fratture nel momento in cui scatta il meccanismo della sopravvivenza. E' la mors tua, vita mea. Non c'è scampo: o hai una cultura politica capace di fare da filtro oppure la risposta è quella che dà Maroni.



Il leghismo avrà pure aspetti folcloristici, però è anche, alla sua maniera, una risposta alla crisi attuale: guerra agli immigrati ed esaltazione del suolo delle piccole patrie. Sarà il modello per il futuro come dimostra la vicenda inglese?

L'istinto della Lega a chiudere i confini nei confronti dei migranti qui ci ritorna sulla testa. La stessa cosa succede allo specchio nei confronti dei lavoratori italiani in Gran Bretagna. E domani potrebbe scattare un analogo meccanismo di rifiuto delle merci italiane da parte dei tedeschi. I nostri politici che speculano su questi istinti belluini giocano col fuoco.



L'unica differenza è che il leghismo italiano soffia sull'odio per gli immigrati che fanno i lavori in basso nella gerarchia sociale, mentre in Gran Bretagna la contesa riguarda lavoratori qualificati. Non è così?

Questo dipende dal fatto che l'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro si colloca a un livello più alto. La competizione si gioca perciò all'interno della gerarchia sociale anche al livello dei tecnici. Ma non c'è una differenza qualitativa. E' che la composizione sociale italiana è appiattita sui lavori a bassa qualificazione, quindi la guerra si fa contro i maghrebini, gli africani e i rumeni. Alla radice ci sta l'alternativa tra il potenziale di imbarbarimento che ha la crisi e le culture politiche che possono costruire anticorpi. Il problema è che queste culture politiche sono collassate. Anche all'interno del mondo del lavoro fa presa la seduzione del leghismo.



Appunto. Dietro la protesta "antitaliana" degli operai britannici ci sono anche i sindacati locali. Avranno anche le loro ragioni, ci sono posti di lavoro a rischio, però così facendo non rischiano di incrementare la guerra tra "proletari"?

Probabilmente in questo meccanismo è coinvolta anche una parte del mondo sindacale. Il fenomeno è determinato anche dalla diversa collocazione dell'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro. La Gran Bretagna ha sperimentato i guasti dell'ultra-liberismo. Conserva nella memoria la follia thachteriana prima e blairiana. L'apertura delle frontiere del mercato è servita come clava per massacrare la parte organizzata del mondo del lavoro e delle Unions. L'Inghilterra si è affidata al neoliberismo in forma più radicale rispetto all'Italia. La vicenda di questi giorni mi sembra un colpo di rimbalzo inquietante e, direi, anche comprensibile in questo quadro.



In fondo parliamo di una costante classica nella storia del movimento operaio. Si potrebbe risalire allo stesso Marx che nel cosiddetto "Discorso sul libero scambio" stigmatizzava il protezionismo come forma di conservatorismo. Insomma, cosa deve fare un sindacato, tutelare i lavoratori dalla concorrenza "sleale" degli stranieri oppure abbracciare la filosofia della libera circolazione di merci ed esseri umani?

Se non hai una forte cultura dell'internazionalismo proletario, una cultura della solidarietà di classe tra lavoratori al di là dei confini, allora la reazione istintiva è quella là, la guerra tra poveri. Poi questa guerra potrà esprimersi ai livelli più alti nei paesi a maggior contenuto tecnologico e di maggior qualificazione della forza lavoro come è l'Inghilterra. Qui da noi probabilmente non avremmo un moto di rivolta contro gli ingegneri inglesi che venissero a gestire degli impianti sofisticati in Italia per la semplice ragione che di impianti sofisticati ne abbiamo pochi. Quelli che vengono a costruire impianti mediamenti sofisticati in Italia lo fanno perché i salari dei nostri ingegneri sono più bassi di quelli dei paesi centrali. La ragione è solo questa. quando la Motorola ha aperto i suoi stabilimenti a Torino ha assunto un centinaio di ingegneri italiani. Perché costavano di meno di quelli inglesi, tedeschi, giapponesi o americani. Poi ha deciso di chiudere e li ha licenziati. Se oggi in Inghilterra si ricorre al subappalto di imprese ad alta qualificazione italiane è perché qui i salari anche di operai altamente specializzati sono stipendi da fame. I nostri lavoratori che vanno là vanno in dumping. Il meccanismo economico è quello. E' un segnale che ci dimostra quanto sfasciato sia il nostro mondo del lavoro, visto che la nostra manodopera, persino quella altamente qualificata, risulta conveniente per gli altri paesi europei.



Non a caso i lavoratori inglesi protestano perché gli italiani accettano di fare un lavoro qualificato a paghe più basse e così facendo spingono al peggioramento delle condizioni lavorative e della forza contrattuale di tutti gli altri. Sbagliano?

Non hanno tutti i torti. E comunque hanno molte più ragioni di quanto non ne abbiano i padani nell'alzare barricate contro i maghrebini che vengono a fare lavori che gli italiani non farebbero.



Insomma questi operai inglesi non sono come li dipinge il giornale "Libero" che incita a imparare da loro come si difendono i posti di lavoro...

Il meccanismo è lo stesso di Maroni ma in condizioni molto diverse. I nostri lavoratori in Inghilterra sono lavoratori sottopagati che si collocano allo stesso livello di qualificazione dei lavoratori inglesi, mentre i nostri migranti non in competizioni con la maggior parte dei nostri lavoratori.



Dal punto di vista della nostra cultura politica dobbiamo prepararci a questo scenario. Ormai sempre più governi annunciano misure a favore dei lavoratori dei propri paesi a partire dagli Usa di Obama. O no?

Il mondo orribile del neoliberismo ha al di sotto una dimensione ancora più orribile che è quella del mondo post-neoliberista e iperprotezionista. E' quello che successe tra gli anni 20 e 30. Prepara le peggiori catastrofi belliche, razziali, totalitarie. Il rimbalzo protezionista dopo l'ubriacatura liberista è micidiale.



Può innescare una spirale in fondo alla quale c'è la guerra e la recrudescenza dei conflitti di razza. Dalla crisi del '29 si è usciti con la Seconda guerra mondiale, mica con il New Deal. Anche l'economista Samuelson dice di stare attenti all'iperprotezionismo del quale, a casa nostra, è interprete Tremonti...

Certo, il protezionismo ha dentro di sé la guerra. Tremonti è molto inquietante in questa sua involuzione verso il demos, cioè verso quella dimensione che negli anni Trenta prese il nome di völkisch. Bisogna fare attenzione a questa regressione verso l'identitarismo su base nazionale o su base populistica. Il populismo protezionistico ha un potenziale distruttivo immenso.



da "Liberazione"

01/02/2009





Come fanno gli operai


di Loris Campetti


su Il Manifesto del 31/01/2009


«Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno». Non siamo a Gela, e gli «sporchi immigrati» che rubano il lavoro agli operai indigeni non sono «bassa manovalanza» tunisina o rumena. Siamo al porto di Grimsby, nel Lincolnshire, e i lavoratori contestati sono italiani. Siciliani per la precisione. Gli operai in lotta che sfilano in corteo in molti porti inglesi contro gli «stranieri» lanciano un'accusa non priva di fondamento: le ditte italiane non rispettano le norme di sicurezza. Poi dicono un'altra cosa, probabilmente falsa, comunque preoccupante: gli italiani fanno errori sul lavoro. Insomma, siamo in pieno dumping sociale? Tutto è iniziato con un'asta lanciata dalla raffineria francese della Total e vinta da una ditta di Siracusa, la Irem, che si porta in Gran Bretagna centinaia di operai italiani, e portoghesi. Questa volta l'esercito del lavoro di riserva siamo noi, gli italiani. E il prode presidente della Sicilia, Lombardo, urla non più contro i migranti nordafricani ma contro «la perfida Albione» e a sua volta minaccia: visto «l'odio xenofono contro i siciliani» romperemo le trattative con l'inglese Erg-Shell che dovrebbe realizzare un rigassificatore a Priolo, nella stessa provincia di Siracusa che è la patria della Irem, contestata in Gran Bretagna insieme ai suoi operai «stranieri».

Quando la crisi economica precipita, brucia posti di lavoro e determina l'emergenza sociale, contraddizioni come questa esplodono ovunque, ingigantite dalle politiche statali protezioniste. Ognuno difende i suoi prodotti. E i suoi operai, che per essere più competitivi devono costare di meno, in salari e diritti. Dal nord degli Usa le lavorazioni non si spostano più oltre il muro della vergogna che spacca in due l'America ma nel sud degli States, dove salari e diritti sono competivi con quelli delle maquilladoras messicane. Obama dice che l'acciaio usato nel suo paese dev'essere prodotto nel suo paese. Sarkozy darà i soldi a Peugeot e Renault solo se non delocalizzerano il lavoro all'estero per difendere quello degli operai francesi. CONTINUA | PAGINA 3

Fa eccezione Berlusconi, che tanto è ottimista.

Qualche crisi fa, quando i giapponesi invasero il mercato Usa dell'auto, fece parlare di sè un concessionario californiano della Gm che aveva messo a disposizione del pubblico una Toyota rossa fiammante e chiedeva 10 dollari per ogni martellata. C'era la fila davanti al suo autosalone.

L'illusione di difendersi contrapponendo tra loro gli stati si traduce a livello sociale in una suicida guerra tra poveri, il conflitto tra capitale e lavoro rischia di precipitare in un conflitto tra lavoratori. L'Europa a 27 si dimostra lontana mille miglia da qualcosa che assomigli a un'entità politica, e ogni paese dà risposte individuali. E i sindacati, rispetto alla globalizzazione capitalistica sono, se non nudi inadeguati. Non è contro i processi di internazionalizzazione che si possono alzare le barricate, ma in difesa - e per l'estensione - dei diritti dei lavoratori, a partire dal diritto al lavoro. E' facile a dirsi, terribilmente difficile da realizzare. Ma è l'unica strada possibile.

«Attenzione, è guerra tra proletari ma gli operai inglesi non sono leghisti»



Manifestazione dei lavoratori della raffineria Total Lindsey contro gli operai italiani e ...



Tonino Bucci



British jobs for british workers. Con questo slogan - lavori britannici per lavoratori britannici - mezza dozzina di raffinerie sono scese in sciopero. Lo hanno in solidarietà con la Lindsey, uno stabilimento sulla costa orientale controllato da una società francese, i cui operai sono entrati in rivolta non appena saputo dell'assunzione di un gruppo di italiani all'indomani di una gara d'appalto. La proverbiale stampa scandalistica inglese l'ha subito messa sul piano della xenofobia, italiani contro inglesi. Però l'effetto immediato della protesta, sostenuta anche dai sindacati locali, è quello. Gli operai inglesi si lamentano per la concorrenza "sleale" dei lavoratori italiani, disponibili ad accettare un posto di lavoro a paghe più basse di quelle normalmente percepite in Gran Bretagna. Le maestranze delle raffinerie dicono che gli italiani gli rubano il posto, che "li hanno presi perché sono pagati meno, ma non sanno lavorare". Insomma, non si può negare che gli operai inglesi siano vittime di un meccanismo economico che porta al ribasso delle condizioni lavorative, epperò qualche segnale inquietante c'è - come sostiene Marco Revelli - in questo intreccio tra voglia di protezionismo e rischio di una resipiscenza della guerra tra popoli e razze.



Nazionalismo e competizione tra lavoratori di diversa nazionalità. La peggiore via di uscita alla crisi che si possa pensare, no?

Mi sembra un segnale inquietante di come la crisi morde sulla società. Non va sottovalutato. Andremo incontro a effetti mostruosi se non ci saranno culture politiche capaci di filtrare gli effetti regressivi della crisi economica e di governarne l'impatto sociale. Sarà la guerra tra poveri se non si costruiscono anticorpi nella cultura politica. C'è un istinto primordiale alla chiusura nazionalistica che si diffonde in tutti i paesi. La crisi enfatizza tutte le fratture nel momento in cui scatta il meccanismo della sopravvivenza. E' la mors tua, vita mea. Non c'è scampo: o hai una cultura politica capace di fare da filtro oppure la risposta è quella che dà Maroni.



Il leghismo avrà pure aspetti folcloristici, però è anche, alla sua maniera, una risposta alla crisi attuale: guerra agli immigrati ed esaltazione del suolo delle piccole patrie. Sarà il modello per il futuro come dimostra la vicenda inglese?

L'istinto della Lega a chiudere i confini nei confronti dei migranti qui ci ritorna sulla testa. La stessa cosa succede allo specchio nei confronti dei lavoratori italiani in Gran Bretagna. E domani potrebbe scattare un analogo meccanismo di rifiuto delle merci italiane da parte dei tedeschi. I nostri politici che speculano su questi istinti belluini giocano col fuoco.



L'unica differenza è che il leghismo italiano soffia sull'odio per gli immigrati che fanno i lavori in basso nella gerarchia sociale, mentre in Gran Bretagna la contesa riguarda lavoratori qualificati. Non è così?

Questo dipende dal fatto che l'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro si colloca a un livello più alto. La competizione si gioca perciò all'interno della gerarchia sociale anche al livello dei tecnici. Ma non c'è una differenza qualitativa. E' che la composizione sociale italiana è appiattita sui lavori a bassa qualificazione, quindi la guerra si fa contro i maghrebini, gli africani e i rumeni. Alla radice ci sta l'alternativa tra il potenziale di imbarbarimento che ha la crisi e le culture politiche che possono costruire anticorpi. Il problema è che queste culture politiche sono collassate. Anche all'interno del mondo del lavoro fa presa la seduzione del leghismo.



Appunto. Dietro la protesta "antitaliana" degli operai britannici ci sono anche i sindacati locali. Avranno anche le loro ragioni, ci sono posti di lavoro a rischio, però così facendo non rischiano di incrementare la guerra tra "proletari"?

Probabilmente in questo meccanismo è coinvolta anche una parte del mondo sindacale. Il fenomeno è determinato anche dalla diversa collocazione dell'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro. La Gran Bretagna ha sperimentato i guasti dell'ultra-liberismo. Conserva nella memoria la follia thachteriana prima e blairiana. L'apertura delle frontiere del mercato è servita come clava per massacrare la parte organizzata del mondo del lavoro e delle Unions. L'Inghilterra si è affidata al neoliberismo in forma più radicale rispetto all'Italia. La vicenda di questi giorni mi sembra un colpo di rimbalzo inquietante e, direi, anche comprensibile in questo quadro.



In fondo parliamo di una costante classica nella storia del movimento operaio. Si potrebbe risalire allo stesso Marx che nel cosiddetto "Discorso sul libero scambio" stigmatizzava il protezionismo come forma di conservatorismo. Insomma, cosa deve fare un sindacato, tutelare i lavoratori dalla concorrenza "sleale" degli stranieri oppure abbracciare la filosofia della libera circolazione di merci ed esseri umani?

Se non hai una forte cultura dell'internazionalismo proletario, una cultura della solidarietà di classe tra lavoratori al di là dei confini, allora la reazione istintiva è quella là, la guerra tra poveri. Poi questa guerra potrà esprimersi ai livelli più alti nei paesi a maggior contenuto tecnologico e di maggior qualificazione della forza lavoro come è l'Inghilterra. Qui da noi probabilmente non avremmo un moto di rivolta contro gli ingegneri inglesi che venissero a gestire degli impianti sofisticati in Italia per la semplice ragione che di impianti sofisticati ne abbiamo pochi. Quelli che vengono a costruire impianti mediamenti sofisticati in Italia lo fanno perché i salari dei nostri ingegneri sono più bassi di quelli dei paesi centrali. La ragione è solo questa. quando la Motorola ha aperto i suoi stabilimenti a Torino ha assunto un centinaio di ingegneri italiani. Perché costavano di meno di quelli inglesi, tedeschi, giapponesi o americani. Poi ha deciso di chiudere e li ha licenziati. Se oggi in Inghilterra si ricorre al subappalto di imprese ad alta qualificazione italiane è perché qui i salari anche di operai altamente specializzati sono stipendi da fame. I nostri lavoratori che vanno là vanno in dumping. Il meccanismo economico è quello. E' un segnale che ci dimostra quanto sfasciato sia il nostro mondo del lavoro, visto che la nostra manodopera, persino quella altamente qualificata, risulta conveniente per gli altri paesi europei.



Non a caso i lavoratori inglesi protestano perché gli italiani accettano di fare un lavoro qualificato a paghe più basse e così facendo spingono al peggioramento delle condizioni lavorative e della forza contrattuale di tutti gli altri. Sbagliano?

Non hanno tutti i torti. E comunque hanno molte più ragioni di quanto non ne abbiano i padani nell'alzare barricate contro i maghrebini che vengono a fare lavori che gli italiani non farebbero.



Insomma questi operai inglesi non sono come li dipinge il giornale "Libero" che incita a imparare da loro come si difendono i posti di lavoro...

Il meccanismo è lo stesso di Maroni ma in condizioni molto diverse. I nostri lavoratori in Inghilterra sono lavoratori sottopagati che si collocano allo stesso livello di qualificazione dei lavoratori inglesi, mentre i nostri migranti non in competizioni con la maggior parte dei nostri lavoratori.



Dal punto di vista della nostra cultura politica dobbiamo prepararci a questo scenario. Ormai sempre più governi annunciano misure a favore dei lavoratori dei propri paesi a partire dagli Usa di Obama. O no?

Il mondo orribile del neoliberismo ha al di sotto una dimensione ancora più orribile che è quella del mondo post-neoliberista e iperprotezionista. E' quello che successe tra gli anni 20 e 30. Prepara le peggiori catastrofi belliche, razziali, totalitarie. Il rimbalzo protezionista dopo l'ubriacatura liberista è micidiale.



Può innescare una spirale in fondo alla quale c'è la guerra e la recrudescenza dei conflitti di razza. Dalla crisi del '29 si è usciti con la Seconda guerra mondiale, mica con il New Deal. Anche l'economista Samuelson dice di stare attenti all'iperprotezionismo del quale, a casa nostra, è interprete Tremonti...

Certo, il protezionismo ha dentro di sé la guerra. Tremonti è molto inquietante in questa sua involuzione verso il demos, cioè verso quella dimensione che negli anni Trenta prese il nome di völkisch. Bisogna fare attenzione a questa regressione verso l'identitarismo su base nazionale o su base populistica. Il populismo protezionistico ha un potenziale distruttivo immenso.



da "Liberazione"

01/02/2009





Come fanno gli operai


di Loris Campetti


su Il Manifesto del 31/01/2009


«Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno». Non siamo a Gela, e gli «sporchi immigrati» che rubano il lavoro agli operai indigeni non sono «bassa manovalanza» tunisina o rumena. Siamo al porto di Grimsby, nel Lincolnshire, e i lavoratori contestati sono italiani. Siciliani per la precisione. Gli operai in lotta che sfilano in corteo in molti porti inglesi contro gli «stranieri» lanciano un'accusa non priva di fondamento: le ditte italiane non rispettano le norme di sicurezza. Poi dicono un'altra cosa, probabilmente falsa, comunque preoccupante: gli italiani fanno errori sul lavoro. Insomma, siamo in pieno dumping sociale? Tutto è iniziato con un'asta lanciata dalla raffineria francese della Total e vinta da una ditta di Siracusa, la Irem, che si porta in Gran Bretagna centinaia di operai italiani, e portoghesi. Questa volta l'esercito del lavoro di riserva siamo noi, gli italiani. E il prode presidente della Sicilia, Lombardo, urla non più contro i migranti nordafricani ma contro «la perfida Albione» e a sua volta minaccia: visto «l'odio xenofono contro i siciliani» romperemo le trattative con l'inglese Erg-Shell che dovrebbe realizzare un rigassificatore a Priolo, nella stessa provincia di Siracusa che è la patria della Irem, contestata in Gran Bretagna insieme ai suoi operai «stranieri».

Quando la crisi economica precipita, brucia posti di lavoro e determina l'emergenza sociale, contraddizioni come questa esplodono ovunque, ingigantite dalle politiche statali protezioniste. Ognuno difende i suoi prodotti. E i suoi operai, che per essere più competitivi devono costare di meno, in salari e diritti. Dal nord degli Usa le lavorazioni non si spostano più oltre il muro della vergogna che spacca in due l'America ma nel sud degli States, dove salari e diritti sono competivi con quelli delle maquilladoras messicane. Obama dice che l'acciaio usato nel suo paese dev'essere prodotto nel suo paese. Sarkozy darà i soldi a Peugeot e Renault solo se non delocalizzerano il lavoro all'estero per difendere quello degli operai francesi. CONTINUA | PAGINA 3

Fa eccezione Berlusconi, che tanto è ottimista.

Qualche crisi fa, quando i giapponesi invasero il mercato Usa dell'auto, fece parlare di sè un concessionario californiano della Gm che aveva messo a disposizione del pubblico una Toyota rossa fiammante e chiedeva 10 dollari per ogni martellata. C'era la fila davanti al suo autosalone.

L'illusione di difendersi contrapponendo tra loro gli stati si traduce a livello sociale in una suicida guerra tra poveri, il conflitto tra capitale e lavoro rischia di precipitare in un conflitto tra lavoratori. L'Europa a 27 si dimostra lontana mille miglia da qualcosa che assomigli a un'entità politica, e ogni paese dà risposte individuali. E i sindacati, rispetto alla globalizzazione capitalistica sono, se non nudi inadeguati. Non è contro i processi di internazionalizzazione che si possono alzare le barricate, ma in difesa - e per l'estensione - dei diritti dei lavoratori, a partire dal diritto al lavoro. E' facile a dirsi, terribilmente difficile da realizzare. Ma è l'unica strada possibile.

mercoledì 28 gennaio 2009

Röchling, occupati da salvare

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 29 GENNAIO 2009





Albrigo (Cisl): «È emergenza nella garanzia dei salari»

Schwarze (Cgil): «Puntiamo ai contratti di solidarietà»





INDUSTRIA IN DIFFICOLTÀ



BOLZANO. «Siamo di fronte ad un situazione difficilissima» osserva Maurizio Albrigo segretario provinciale dei chimici Sgb/Cisl al termine del vertice avuto ieri con la dirigenza della Röchling di Laives per verificare i termini dell’accordo sottoscritto a dicembre. «Siamo fortemente preoccupati per la gestione del pacchetto di misure da adottare nell’immediato futuro» incalza Stefano Schwarze segretario della Filcem Cgil. Va detto che l’incontro di ieri è servito per renderci conto che la situazione aziendale rispetto ad un mese fa - a causa della pensantissima crisi che ha colpito a livello internazionale l’intero comparto dell’automotive di cui la Röchling è parte integrante producento componenti plastiche per tutti i maggiori marchi auto del mondo - è diventata ancora più pesante e le prospettive, al momento attuale, drammatiche. «La settimana prossima ci prenderemo una giornata di clausura per poter definire una serie di misure presentabili alle assemblee dei lavoratori. Una cosa è certa - sottolinea Albrigo - è la pregiudiziale che abbiamo posto: la salvaguardia di tutti i posti di lavoro e la garanzia di una retribuzione dignitosa». «Puntiamo alla stipula di un contratto di solidarietà - anticipa Schwarze - ma dobbiamo garantire i salari più bassi. Non intendiamo accettare ricatti da parte dell’azienda».

Da quest’oggi intanto saranno costretti a fermarsi - per loro scatterà la cassa integrazione - i cinquanta lavoratori addetti al reparto di produzione delle porte per vetture Fiat. In considerazione del fatto che la casa automobilistica italiana è ferma a “caduta” i lavoratori della Röchling saranno costretti a due settimane di cassa integrazione. «L’azienda ha una linea di garanzia mensile che prevede il raggiungimento di un determinato fatturato. Oggi le commesse raggiungono circa la metà del minimo necessario. L’azienda ha quindi la necessità di un evidente rientro, ma questo non potrà esseer pagato esclusivamente dai lavoratori e in particolare da quelli a reddito più basso - osserva ancora Albrigo - Non è possibile intaccare tredicesime o oaltri premi previsti dal secondo livello di contrattazione. Non possiamo consentire, e pretendere che gli operai in cassa percepiscano meno di mille euro al mese. A questo punto siamo pronti ad una mobilitazione. La Provincia per anni ha erogato contributi spaciali agli albergatori per salvare il turismo a causa del fatto che non nevicava. Quest’anno di neve ne è caduta abbontante e il turismo non è “da salvare”. Oggi “da salvare” è il mondo della produzione e l’occupazione di centinaia di lavoratori». (p.m.)

Röchling, occupati da salvare

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 29 GENNAIO 2009





Albrigo (Cisl): «È emergenza nella garanzia dei salari»

Schwarze (Cgil): «Puntiamo ai contratti di solidarietà»





INDUSTRIA IN DIFFICOLTÀ



BOLZANO. «Siamo di fronte ad un situazione difficilissima» osserva Maurizio Albrigo segretario provinciale dei chimici Sgb/Cisl al termine del vertice avuto ieri con la dirigenza della Röchling di Laives per verificare i termini dell’accordo sottoscritto a dicembre. «Siamo fortemente preoccupati per la gestione del pacchetto di misure da adottare nell’immediato futuro» incalza Stefano Schwarze segretario della Filcem Cgil. Va detto che l’incontro di ieri è servito per renderci conto che la situazione aziendale rispetto ad un mese fa - a causa della pensantissima crisi che ha colpito a livello internazionale l’intero comparto dell’automotive di cui la Röchling è parte integrante producento componenti plastiche per tutti i maggiori marchi auto del mondo - è diventata ancora più pesante e le prospettive, al momento attuale, drammatiche. «La settimana prossima ci prenderemo una giornata di clausura per poter definire una serie di misure presentabili alle assemblee dei lavoratori. Una cosa è certa - sottolinea Albrigo - è la pregiudiziale che abbiamo posto: la salvaguardia di tutti i posti di lavoro e la garanzia di una retribuzione dignitosa». «Puntiamo alla stipula di un contratto di solidarietà - anticipa Schwarze - ma dobbiamo garantire i salari più bassi. Non intendiamo accettare ricatti da parte dell’azienda».

Da quest’oggi intanto saranno costretti a fermarsi - per loro scatterà la cassa integrazione - i cinquanta lavoratori addetti al reparto di produzione delle porte per vetture Fiat. In considerazione del fatto che la casa automobilistica italiana è ferma a “caduta” i lavoratori della Röchling saranno costretti a due settimane di cassa integrazione. «L’azienda ha una linea di garanzia mensile che prevede il raggiungimento di un determinato fatturato. Oggi le commesse raggiungono circa la metà del minimo necessario. L’azienda ha quindi la necessità di un evidente rientro, ma questo non potrà esseer pagato esclusivamente dai lavoratori e in particolare da quelli a reddito più basso - osserva ancora Albrigo - Non è possibile intaccare tredicesime o oaltri premi previsti dal secondo livello di contrattazione. Non possiamo consentire, e pretendere che gli operai in cassa percepiscano meno di mille euro al mese. A questo punto siamo pronti ad una mobilitazione. La Provincia per anni ha erogato contributi spaciali agli albergatori per salvare il turismo a causa del fatto che non nevicava. Quest’anno di neve ne è caduta abbontante e il turismo non è “da salvare”. Oggi “da salvare” è il mondo della produzione e l’occupazione di centinaia di lavoratori». (p.m.)

lunedì 5 gennaio 2009

«L’esenzione dell’Irpef per aiutare le aziende»



ALTO ADIGE - SABATO, 03 GENNAIO 2009



Ne parla il sindaco





LAIVES. Fra le misure che potrebbero incentivare l’insediamento di nuove aziende sul territorio comunale ci sarebbe anche l’esenzione dal pagamento dell’addizionale Irpef nei primi 2 o 3 anni. Se ne è parlato in consiglio comunale e pur non escludendolo a priori, il sindaco Polonioli ha però spiegato che nel caso in cui si decidesse di adottare una simile agevolazione, prima di tutto bisogna verificare la sua applicabilità dal punto di vista giuridico. Nessun problema invece per quanto riguarda gli incassi proprio perché, spiega Polonioli, «Questa agevolazione fiscale riguarderebbe solamente quelle imprese che decidessero di insediarsi qui da noi e non quelle che invece già ci sono».

Per quanto concerne l’addizionale Irpef, il consiglio comunale ha deliberato di mantenerla invariata anche durante il 2009 al 2 per mille e già questo è uno sforzo di buona volontà viste le carenze di bilancio delle quali si lamentano gli amministratori. «Dall’applicazione dell’addizionale Irpef entrano complessivamente nelle casse comunali 440 mila euro l’anno circa - continua il sindaco - soldi dei quali attualmente faremmo fatica a rinunciare con il bilancio sempre più ingessato».

Ad ogni modo bisogna incentivare gli insediamenti produttivi sul territorio comunale perché, come si nota ad esempio nella grande area di interesse provinciale di Vurza a nord di Pineta, è sempre più difficile trovare chi abbia intenzione di investire, creando reddito e posti di lavoro preziosi. (b.c.)

«L’esenzione dell’Irpef per aiutare le aziende»



ALTO ADIGE - SABATO, 03 GENNAIO 2009



Ne parla il sindaco





LAIVES. Fra le misure che potrebbero incentivare l’insediamento di nuove aziende sul territorio comunale ci sarebbe anche l’esenzione dal pagamento dell’addizionale Irpef nei primi 2 o 3 anni. Se ne è parlato in consiglio comunale e pur non escludendolo a priori, il sindaco Polonioli ha però spiegato che nel caso in cui si decidesse di adottare una simile agevolazione, prima di tutto bisogna verificare la sua applicabilità dal punto di vista giuridico. Nessun problema invece per quanto riguarda gli incassi proprio perché, spiega Polonioli, «Questa agevolazione fiscale riguarderebbe solamente quelle imprese che decidessero di insediarsi qui da noi e non quelle che invece già ci sono».

Per quanto concerne l’addizionale Irpef, il consiglio comunale ha deliberato di mantenerla invariata anche durante il 2009 al 2 per mille e già questo è uno sforzo di buona volontà viste le carenze di bilancio delle quali si lamentano gli amministratori. «Dall’applicazione dell’addizionale Irpef entrano complessivamente nelle casse comunali 440 mila euro l’anno circa - continua il sindaco - soldi dei quali attualmente faremmo fatica a rinunciare con il bilancio sempre più ingessato».

Ad ogni modo bisogna incentivare gli insediamenti produttivi sul territorio comunale perché, come si nota ad esempio nella grande area di interesse provinciale di Vurza a nord di Pineta, è sempre più difficile trovare chi abbia intenzione di investire, creando reddito e posti di lavoro preziosi. (b.c.)

mercoledì 24 dicembre 2008

LETTERE

ALTO ADIGE - MERCOLEDÌ, 24 DICEMBRE 2008



Il buon senso nei controlli delle Fiamme Gialle




 L’Alto Adige riporta a caratteri cubitali: “Allarme evasione” e poi “Troppi controlli”, e Durnwalder “Controlli troppo stringenti - Le leggi vanno applicate con maggior buon senso”. Ora, io mi sforzo di usare il buon senso, ma recentemente l’Agenzia delle Entrate si è accorta, con i controlli incrociati, che io avevo dichiarato a carico, nel Mod. 730/2006, mio figlio il cui reddito però superava di 50 euro il limite consentito per legge (credetemi o no, per dimenticanza) con le relative conseguenze che non sto a spiegare. Mi sorge quindi spontanea una semplice domanda che avrei piacere, per spirito di conoscenza, che qualcuno mi esaudisse (magari pubblicamente tramite il giornale): “Se i controlli troppo stringenti si riferiscono al mio caso e simili, beh sono d’accordo, ma siccome ho la vaga sensazione che non sia così e che si cerchi di attenuare la pressione della Guardia di Finanza sugli evasori quelli veri, ci sarà sicuramente un motivo che io (e probabilmente altri come me) non comprendo, ma confesso che la curiosità di venirne a conoscenza è tanta!”. Non mi sembra che in questo caso si possa giustificare con il “buon senso”.

Cesare R. BOLZANO

LETTERE

ALTO ADIGE - MERCOLEDÌ, 24 DICEMBRE 2008



Il buon senso nei controlli delle Fiamme Gialle




 L’Alto Adige riporta a caratteri cubitali: “Allarme evasione” e poi “Troppi controlli”, e Durnwalder “Controlli troppo stringenti - Le leggi vanno applicate con maggior buon senso”. Ora, io mi sforzo di usare il buon senso, ma recentemente l’Agenzia delle Entrate si è accorta, con i controlli incrociati, che io avevo dichiarato a carico, nel Mod. 730/2006, mio figlio il cui reddito però superava di 50 euro il limite consentito per legge (credetemi o no, per dimenticanza) con le relative conseguenze che non sto a spiegare. Mi sorge quindi spontanea una semplice domanda che avrei piacere, per spirito di conoscenza, che qualcuno mi esaudisse (magari pubblicamente tramite il giornale): “Se i controlli troppo stringenti si riferiscono al mio caso e simili, beh sono d’accordo, ma siccome ho la vaga sensazione che non sia così e che si cerchi di attenuare la pressione della Guardia di Finanza sugli evasori quelli veri, ci sarà sicuramente un motivo che io (e probabilmente altri come me) non comprendo, ma confesso che la curiosità di venirne a conoscenza è tanta!”. Non mi sembra che in questo caso si possa giustificare con il “buon senso”.

Cesare R. BOLZANO

lunedì 22 dicembre 2008

AEROPORTO ED ALTA VELOCITA'






L’interessante articolo di Ezio Danieli, pubblicato qualche giorno fa sull’Alto Adige, ha messo in luce  come la Provincia, lungi dall’aver abbandonato l’idea di ampliare l’aeroporto, stia mettendo in atto una strategia ben più complessa ed articolata per raggiungere i suoi intendimenti e contemporaneamente dar soddisfazione alle lobby politico-affaristiche  che su quella struttura hanno deciso di puntare. A nulla sono valse le argomentazioni puntuali di chi nella mediazione ha dimostrato come la crescita di questa terra non sia legata all’aeroporto e che anzi proprio puntando su un modello alternativo ad un turismo energivoro e distruttivo delle risorse del territorio sia possibile coniugare sviluppo e salvaguardia dell’ambiente.


C’è chi afferma che i soldi spesi per quella iniziativa siano stati un inutile spreco di risorse pubbliche: i sostenitori di questa tesi si pongono dal punto di vista di chi ne aveva fatto lo strumento per raggiungere, senza opposizioni, l’ampliamento dello scalo di via Baracca, ma a nostro modo di vedere, l’aver scoperto il bluff dell’ala economica, non deve farci rimpiangere troppo quella spesa.


Sono di questi giorni le prese di posizione di ambienti economici che, sordi alle ragioni degli altri, ripropongono le loro argomentazioni giungendo a fasi sostenere dall’ambasciatore americano, ma senza controbattere a chi quei ragionamenti aveva dimostrato essere falsi.


Walter Meister, presidente degli albergatori, ribadisce infatti la necessità dell’aeroporto, ma anche dell’alta velocità, ed è Christoph Engl, direttore di Alto Adige Marketing, a chiarirne le ragioni e a evidenziare come lo scalo di S. Giacomo serva solo ad una ristretta elite: «La questione è semplice. L’Alto Adige ha bisogno di 5,5 milioni di turisti all’anno. …basta che l’aeroporto funzioni per dare la possibilità a chi vuole e se lo può permettere di raggiungere Bolzano in aereo”.


L’idea che ne vien fuori è in definitiva quella di un’isola felice dove i trasporti interni, sul modello della Merano-Malles o della Pusteria, siano all’avanguardia, ma che, appunto come un’isola, per collegarsi al resto del mondo, debba far necessariamente uso dell’aereo, o del suo corrispettivo via terra che è l’alta velocità.


 


Rifondazione Comunista - Laives

AEROPORTO ED ALTA VELOCITA'






L’interessante articolo di Ezio Danieli, pubblicato qualche giorno fa sull’Alto Adige, ha messo in luce  come la Provincia, lungi dall’aver abbandonato l’idea di ampliare l’aeroporto, stia mettendo in atto una strategia ben più complessa ed articolata per raggiungere i suoi intendimenti e contemporaneamente dar soddisfazione alle lobby politico-affaristiche  che su quella struttura hanno deciso di puntare. A nulla sono valse le argomentazioni puntuali di chi nella mediazione ha dimostrato come la crescita di questa terra non sia legata all’aeroporto e che anzi proprio puntando su un modello alternativo ad un turismo energivoro e distruttivo delle risorse del territorio sia possibile coniugare sviluppo e salvaguardia dell’ambiente.


C’è chi afferma che i soldi spesi per quella iniziativa siano stati un inutile spreco di risorse pubbliche: i sostenitori di questa tesi si pongono dal punto di vista di chi ne aveva fatto lo strumento per raggiungere, senza opposizioni, l’ampliamento dello scalo di via Baracca, ma a nostro modo di vedere, l’aver scoperto il bluff dell’ala economica, non deve farci rimpiangere troppo quella spesa.


Sono di questi giorni le prese di posizione di ambienti economici che, sordi alle ragioni degli altri, ripropongono le loro argomentazioni giungendo a fasi sostenere dall’ambasciatore americano, ma senza controbattere a chi quei ragionamenti aveva dimostrato essere falsi.


Walter Meister, presidente degli albergatori, ribadisce infatti la necessità dell’aeroporto, ma anche dell’alta velocità, ed è Christoph Engl, direttore di Alto Adige Marketing, a chiarirne le ragioni e a evidenziare come lo scalo di S. Giacomo serva solo ad una ristretta elite: «La questione è semplice. L’Alto Adige ha bisogno di 5,5 milioni di turisti all’anno. …basta che l’aeroporto funzioni per dare la possibilità a chi vuole e se lo può permettere di raggiungere Bolzano in aereo”.


L’idea che ne vien fuori è in definitiva quella di un’isola felice dove i trasporti interni, sul modello della Merano-Malles o della Pusteria, siano all’avanguardia, ma che, appunto come un’isola, per collegarsi al resto del mondo, debba far necessariamente uso dell’aereo, o del suo corrispettivo via terra che è l’alta velocità.


 


Rifondazione Comunista - Laives

giovedì 11 dicembre 2008

«Omniscom, trattative difficili»

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 11 DICEMBRE 2008





















 
Nei giorni scorsi le società subentranti - Poli e Aspiag - avevano dipinto un quadro diverso
 
Lillo (Fi): tempi bui per una quarantina di dipendenti


 BOLZANO. Omniscom, per almeno 44 dipendenti si prospettano tempi bui. Lo afferma il coordinatore cittadino di Fi, Enrico Lillo. «Le trattative non promettono nulla di buono». La sorte del personale dopo l’acquisto dei 17 supermercati venduti da Tosolini a Poli (7 punti vendita) ed Aspiag (10) resta incerta. «Il personale ha tre alternative: dimissioni consensuali o, in alternativa, perdita del trattamento economico contrattato e ridimensionamento delle mansioni e trasferimento in altre sedi fuori provincia».

 «La recente cessione di Omniscom alle rivali Aspiag e Poli sembrava volgere nella direzione giusta, cioè, quella di reinserire tutto il personale nelle due grandi aziende, rispettando quelle che erano le aspettative dei lavoratori in “odore” di mobilità», spiega l’esponente forzista. «Anche i sindacati seppur in forte ritardo, si sono interessati alla questione. Di fatto, le trattative in corso con 44 dipendenti ex Omniscom, che da ieri sono stati chiamati a partecipare agli incontri con le direzioni del personale di Aspiag e di Poli, non promettono nulla di buono», sottolinea Enrico Lillo. «A queste persone vengono proposte queste alternative: dimissioni consensuali, in alternativa la perdita delle condizioni detenute, con la riduzione del livello di qualifica delle stipendio e delle mansioni; il trasferimento in altre sedi fuori provincia», ancora il coordinatore comunale di Forza Italia.

 «Non ho la conoscenza tecnica riguardo alle dinamiche di come le aziende possano indurre il dipendente a rinunciare a ciò che ha ottenuto in anni di lavoro - ma credo che sia possibile - visto che viene puntualmente proposto in alternativa alla mobilità un quadro non certo edificante che si scontra con quanto pubblicato nei giorni scorsi dalla stampa, la quale presentava il problema come risolto, con il beneplacito dei sindacati e degli stessi dipendenti che evidentemente credono e sperano ancora di vedersi riconosciuta la dedizione e la fedeltà al lavoro dopo tanti anni alle dipendenze dell’azienda».

 Nei giorni scorsi c’era stato per i 44 dipendenti Omniscom che lavorano in amministrazione e in magazzino, l’impegno formale delle società subentranti, Poli e Aspiag, a garantire offerte di lavoro equivalenti in provincia. Un quadro diverso rispetto a quello dipinto dall’esponente di Forza Italia.






«Omniscom, trattative difficili»

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 11 DICEMBRE 2008





















 
Nei giorni scorsi le società subentranti - Poli e Aspiag - avevano dipinto un quadro diverso
 
Lillo (Fi): tempi bui per una quarantina di dipendenti


 BOLZANO. Omniscom, per almeno 44 dipendenti si prospettano tempi bui. Lo afferma il coordinatore cittadino di Fi, Enrico Lillo. «Le trattative non promettono nulla di buono». La sorte del personale dopo l’acquisto dei 17 supermercati venduti da Tosolini a Poli (7 punti vendita) ed Aspiag (10) resta incerta. «Il personale ha tre alternative: dimissioni consensuali o, in alternativa, perdita del trattamento economico contrattato e ridimensionamento delle mansioni e trasferimento in altre sedi fuori provincia».

 «La recente cessione di Omniscom alle rivali Aspiag e Poli sembrava volgere nella direzione giusta, cioè, quella di reinserire tutto il personale nelle due grandi aziende, rispettando quelle che erano le aspettative dei lavoratori in “odore” di mobilità», spiega l’esponente forzista. «Anche i sindacati seppur in forte ritardo, si sono interessati alla questione. Di fatto, le trattative in corso con 44 dipendenti ex Omniscom, che da ieri sono stati chiamati a partecipare agli incontri con le direzioni del personale di Aspiag e di Poli, non promettono nulla di buono», sottolinea Enrico Lillo. «A queste persone vengono proposte queste alternative: dimissioni consensuali, in alternativa la perdita delle condizioni detenute, con la riduzione del livello di qualifica delle stipendio e delle mansioni; il trasferimento in altre sedi fuori provincia», ancora il coordinatore comunale di Forza Italia.

 «Non ho la conoscenza tecnica riguardo alle dinamiche di come le aziende possano indurre il dipendente a rinunciare a ciò che ha ottenuto in anni di lavoro - ma credo che sia possibile - visto che viene puntualmente proposto in alternativa alla mobilità un quadro non certo edificante che si scontra con quanto pubblicato nei giorni scorsi dalla stampa, la quale presentava il problema come risolto, con il beneplacito dei sindacati e degli stessi dipendenti che evidentemente credono e sperano ancora di vedersi riconosciuta la dedizione e la fedeltà al lavoro dopo tanti anni alle dipendenze dell’azienda».

 Nei giorni scorsi c’era stato per i 44 dipendenti Omniscom che lavorano in amministrazione e in magazzino, l’impegno formale delle società subentranti, Poli e Aspiag, a garantire offerte di lavoro equivalenti in provincia. Un quadro diverso rispetto a quello dipinto dall’esponente di Forza Italia.






lunedì 8 dicembre 2008

Ottocento lavoratori in cassa integrazione

ALTO ADIGE - LUNEDÌ, 08 DICEMBRE 2008



























 
di Massimiliano Bona
 
Riguarda Acciaierie, Roechling e Memc Oberrauch: «Entro luglio l’attesa svolta»
 
Alla Valbruna 300 dipendenti a casa da oggi al 13 gennaio Sindacati prudenti per il futuro


 BOLZANO. Acciaierie, Memc e Roechling: tra le aziende che sono ricorse alla cassa integrazione (per i lavoratori delle prime due scatta da oggi) ci sono anche industrie leader nei rispettivi comparti. La crisi ha interessato soprattutto i settori dell’auto e dell’edilizia e sono in affanno anche molte pmi. Fiducioso, nonostante tutto, il presidente di Assoimprenditori Oberrauch: «La svolta ci sarà nella seconda metà del 2009, ma l’economia altoatesina nel complesso è ancora in salute».

 La cassa integrazione alle Acciaierie interessa complessivamente 300 dei 500 dipendenti. Resteranno a casa fino al 13 gennaio. «Naturalmente confidiamo - spiega Paolo Castelli, rappresentante della Rsu - in un incremento delle commesse a partire dal nuovo anno.

 Ora, tra ferie e cassa integrazione, resteremo al palo un mese». Un operaio della Valbruna apre le braccia, sconsolato. «Sarà dura perchè ho un figlio a carico e ci rimetterò 400 euro. Spero sia solo una situazione transitoria». Radicchi (Fiom/Cgil) fotografa la crisi. «Siamo di fronte a cifre impensabili in passato e continuano ad arrivare segnalazioni anche per il prossimo mese. Non siamo tranquilli, nemmeno per le Acciaierie, perchè il 13 resta sempre una data indicativa. La paura è che questa condizione si prolunghi fino all’estate».

 La crisi globale del mercato del settore auto e del settore elettronico continua a farsi sentire per le componenti in monocristallo di silicio prodotte dalla Memc anche se una leggera ripresa proprio del comparto elettronico ha fatto lievitare gli ordinativi nelle ultime settimane, tanto che la preventivata riduzione della forza lavoro è slittata fino a ieri. Ora 120 operai resteranno a casa fino al 3 gennaio. Nessun problema invece per il reparto del policristallo dove i 380 operai lavorano a pieno ritmo. Tempi difficili anche per la Roechling Automotive.

 L’azienda di Laives ha registrato un calo non trascurabile di fatturato e si appresta a chiedere, da gennaio 2009, la cassa integrazione ordinaria per 6 mesi (a rotazione) salvo poi ricorrere, da giugno in avanti, a quella straordinaria se la situazione non dovesse migliorare. Saranno interessati 165 operai e 190 amministrativi. Martedì e mercoledì la direzione aziendale ha deciso di illustrare la situazione ai dipendenti e alle organizzazioni sindacali.

 In una fase congiunturale obiettivamente difficile il presidente di Assoimprenditori ritiene doveroso mostrare un certo ottimismo. «Ma questa fiducia non è solo una speranza, perchè è suffragata dai numeri. È vero che il settore delle auto e quello dell’edilizia sono in affanno, ma gli altri stanno tenendo botta. Per il primo c’è poco da fare, visto che a livello internazionale si è deciso di ridurre la produzione per il 2009 di 5 milioni di veicoli, mentre per l’edilizia un aiuto verrà dalla Provincia, che studierà il modo per anticipare la realizzazione di diverse opere pubbliche».

 Oberrauch si sofferma soprattutto sui dati quadro dell’economia altoatesina. «Per il 2009 è prevista una crescita dell’1,4%, mentre il tasso di disoccupazione si attesta anche adesso al 2,6%: ciò significa che restiamo la terza provincia più virtuosa in Europa. I primi sei mesi del 2009 saranno i più duri, ma poi ci attendiamo una svolta positiva».






Ottocento lavoratori in cassa integrazione

ALTO ADIGE - LUNEDÌ, 08 DICEMBRE 2008



























 
di Massimiliano Bona
 
Riguarda Acciaierie, Roechling e Memc Oberrauch: «Entro luglio l’attesa svolta»
 
Alla Valbruna 300 dipendenti a casa da oggi al 13 gennaio Sindacati prudenti per il futuro


 BOLZANO. Acciaierie, Memc e Roechling: tra le aziende che sono ricorse alla cassa integrazione (per i lavoratori delle prime due scatta da oggi) ci sono anche industrie leader nei rispettivi comparti. La crisi ha interessato soprattutto i settori dell’auto e dell’edilizia e sono in affanno anche molte pmi. Fiducioso, nonostante tutto, il presidente di Assoimprenditori Oberrauch: «La svolta ci sarà nella seconda metà del 2009, ma l’economia altoatesina nel complesso è ancora in salute».

 La cassa integrazione alle Acciaierie interessa complessivamente 300 dei 500 dipendenti. Resteranno a casa fino al 13 gennaio. «Naturalmente confidiamo - spiega Paolo Castelli, rappresentante della Rsu - in un incremento delle commesse a partire dal nuovo anno.

 Ora, tra ferie e cassa integrazione, resteremo al palo un mese». Un operaio della Valbruna apre le braccia, sconsolato. «Sarà dura perchè ho un figlio a carico e ci rimetterò 400 euro. Spero sia solo una situazione transitoria». Radicchi (Fiom/Cgil) fotografa la crisi. «Siamo di fronte a cifre impensabili in passato e continuano ad arrivare segnalazioni anche per il prossimo mese. Non siamo tranquilli, nemmeno per le Acciaierie, perchè il 13 resta sempre una data indicativa. La paura è che questa condizione si prolunghi fino all’estate».

 La crisi globale del mercato del settore auto e del settore elettronico continua a farsi sentire per le componenti in monocristallo di silicio prodotte dalla Memc anche se una leggera ripresa proprio del comparto elettronico ha fatto lievitare gli ordinativi nelle ultime settimane, tanto che la preventivata riduzione della forza lavoro è slittata fino a ieri. Ora 120 operai resteranno a casa fino al 3 gennaio. Nessun problema invece per il reparto del policristallo dove i 380 operai lavorano a pieno ritmo. Tempi difficili anche per la Roechling Automotive.

 L’azienda di Laives ha registrato un calo non trascurabile di fatturato e si appresta a chiedere, da gennaio 2009, la cassa integrazione ordinaria per 6 mesi (a rotazione) salvo poi ricorrere, da giugno in avanti, a quella straordinaria se la situazione non dovesse migliorare. Saranno interessati 165 operai e 190 amministrativi. Martedì e mercoledì la direzione aziendale ha deciso di illustrare la situazione ai dipendenti e alle organizzazioni sindacali.

 In una fase congiunturale obiettivamente difficile il presidente di Assoimprenditori ritiene doveroso mostrare un certo ottimismo. «Ma questa fiducia non è solo una speranza, perchè è suffragata dai numeri. È vero che il settore delle auto e quello dell’edilizia sono in affanno, ma gli altri stanno tenendo botta. Per il primo c’è poco da fare, visto che a livello internazionale si è deciso di ridurre la produzione per il 2009 di 5 milioni di veicoli, mentre per l’edilizia un aiuto verrà dalla Provincia, che studierà il modo per anticipare la realizzazione di diverse opere pubbliche».

 Oberrauch si sofferma soprattutto sui dati quadro dell’economia altoatesina. «Per il 2009 è prevista una crescita dell’1,4%, mentre il tasso di disoccupazione si attesta anche adesso al 2,6%: ciò significa che restiamo la terza provincia più virtuosa in Europa. I primi sei mesi del 2009 saranno i più duri, ma poi ci attendiamo una svolta positiva».






sabato 29 novembre 2008

La crisi


«Dovremo tutti pagare perché il collasso avviene nel contesto di quello che può essere considerato forse il più grande trasferimento di ricchezza dalla rivoluzione bolscevica del 1917.





Non è un trasferimento di ricchezza dai ricchi ai poveri, ma un trasferimento di ricchezza dal futuro al presente.





Mai nessuna generazione ha speso tanto della ricchezza dei suoi figli in un periodo tanto breve.


L’America ha imposto alle generazioni future un immenso peso per finanziare i tagli delle tasse, le guerre e i salvataggi delle banche.»






Thomas Friedman, Herald Tribune, 3 Novembre 2008

La crisi


«Dovremo tutti pagare perché il collasso avviene nel contesto di quello che può essere considerato forse il più grande trasferimento di ricchezza dalla rivoluzione bolscevica del 1917.





Non è un trasferimento di ricchezza dai ricchi ai poveri, ma un trasferimento di ricchezza dal futuro al presente.





Mai nessuna generazione ha speso tanto della ricchezza dei suoi figli in un periodo tanto breve.


L’America ha imposto alle generazioni future un immenso peso per finanziare i tagli delle tasse, le guerre e i salvataggi delle banche.»






Thomas Friedman, Herald Tribune, 3 Novembre 2008

venerdì 28 novembre 2008






Sarà meglio che dall'euforia dei reality si torni all'economia reale


Giorgio Cremaschi


Sarà meglio che dall'euforia dei reality si torni all'economia reale. Ove si prepara un massacro sociale senza precedenti, ma con una funzione precisa: costruire una selezione delle e nelle classi ancora più brutale di quella alla quale sinora siamo stati abituati.

Per le imprese e per i poteri economici (se ce ne fossimo dimenticati essi ancora esistono), la crisi è una grande occasione. Sì ora ci sono i drammi e le incertezze, ma il futuro si sta già costruendo, ed esso sarà molto più di prima concentrato sul lavoro. E non sarà una buona cosa.

In realtà non è mai stato vero che l'economia finanziaria abbia trascurato il lavoro, se ne è sempre occupata eccome. La globalizzazione è riuscita a diffondere la più vasta concorrenza al ribasso tra lavoratori che mai si sia realizzata, con la distruzione dello stato sociale, di contratti e diritti, con il dilagare della precarietà, con l'abbattimento dei salari. Su tutto questo non si vede alcun ripensamento in chi comanda nelle imprese e nell'economia, e neppure nei principali governi. L'Unione Europea vara un piano di investimenti, ma nello stesso tempo afferma che il patto di stabilità liberista non si tocca e che la difesa della moneta, l'euro in primo luogo, viene prima di qualsiasi misura sociale.

Certo che c'è bisogno dell'intervento pubblico, ma questo deve sostenere il modello economico che è andato in crisi. Il ministro Tremonti ama lanciare sofferte giaculatorie contro le degenerazioni del capitalismo, ma è il primo a continuare nella strada sin qui percorsa.





Dobbiamo smetterla di discutere delle chiacchiere e guardare alla sostanza dei provvedimenti che vengono presi




Giorgio Cremaschi



Dobbiamo smetterla di discutere delle chiacchiere e guardare alla sostanza dei provvedimenti che vengono presi. Per ora non c'è un solo paese occidentale che abbia deciso misure per far aumentare i salari e fermare i licenziamenti. Anche Obama tace sul salario minimo di legge, che negli Usa è fermo al 1998. Al contrario tutte le decisioni che vengono concretamente varate servono a sostenere le banche, la finanza, i programmi d'investimento, di ristrutturazione, di licenziamento delle imprese. Sotto l'onda dell'emergenza globale si affermano criteri sociali che sono quelli di una vera e propria economia di guerra. E anche gli investimenti militari veri e propri aumentano. Mentre i poveri reali crescono a dismisura, si definiscono ristrette categorie di poveri ufficiali. In Italia stiamo sperimentando l'elemosina di stato che tocca, con la carta sociale del governo, un milione e duecento mila persone.

C'è del metodo in questa follia. Si usa la crisi per selezionare un nuovo tipo di lavoratore, e costruire attorno ad esso una società ancora più ingiusta e feroce di quella attuale. Da noi hanno cominciato con la scuola e l'Università. Le controriforme del governo sono state scritte su dettatura della Confindustria e partono dall'assunto che è impossibile avere una scuola di massa pubblica ed efficiente. Così si abbandona a se stessa gran parte della scuola pubblica e si seleziona, assieme alle imprese, l'élite per il mercato e per il profitto. In Alitalia si è fatto lo stesso. L'intervento pubblico è servito a socializzare le perdite, che pagheremo tutti noi. I padroni privati invece potranno scegliere dal contenitore della vecchia società il meglio delle rotte, delle strutture, e naturalmente dei lavoratori. E chi non ci sta attenta all'interesse nazionale.

Il Sole 24 ore ha dedicato un editoriale ai nuovi nemici del popolo, piloti, musicisti, lavoratori specializzati, che pretendono di difendere il proprio status. La macina del capitalismo diventa ancora più dura quando questo va in crisi. Nel 1994 la Fiat buttò in Cassa integrazione gran parte di quegli impiegati e capi, che sfilando a suo sostegno nell'ottobre del 1980, le fecero vincere la vertenza contro gli operai. Oggi si parla tanto di merito, ma tutte le categorie professionali subiscono gli effetti di un'organizzazione del lavoro sempre più parcellizzata e autoritaria, mentre l'unico merito che davvero viene riconosciuto è quello della fedeltà e dell'obbedienza.

L'amministratore delegato della Fiat vuole che la sua azienda somigli sempre di più alla catena di supermercati Wall-Mart. Si dice che Ford abbia installato le prime catene di montaggio ispirandosi a come si lavorava nei magazzini della carne di Chicago. Il modello giapponese a sua volta nasce copiando la logistica dei moderni supermercati. Ora la Fiat annuncia un futuro copiato dalla più grande catena di supermercati a basso costo. Ma Wall-Mart è anche una società brutalmente antisindacale, che schiavizza i propri dipendenti. Il programma di Marchionne è dunque anche un programma sociale, che prepara ulteriori assalti all'occupazione e ai diritti dei lavoratori Fiat.

Le leggi sul lavoro flessibile che centrosinistra e centrodestra hanno varato in questi anni, ora mostrano la loro vera funzione. Esse permettono di licenziare centinaia di migliaia di persone senza articolo 18 o altro che l'impedisca. E così la tutela contro i licenziamenti diventa un privilegio, quello che permette di essere almeno dichiarati come esuberi. E i soliti commentatori di entrambi gli schieramenti annunciano che con tanto precariato, i privilegi non si possono più difendere. Per i migranti la perdita dei diritti sociali diventa anche distruzione di quelli civili. Chi viene licenziato, grazie alla Bossi-Fini, diventa clandestino e con lui tutti i suoi famigliari.

E la crisi avanza. Che essa fosse ben radicata nell'economia reale e non solo in quella finanziaria, lo dimostra la velocità con cui si ferma il lavoro, si licenziano o si mettono in cassa integrazione i dipendenti. Una velocità superiore a quella della caduta della Borsa.

Le ristrutturazioni nelle aziende non sono solo crisi. Esse, come sostengono tanti dottori Stranamore dell'economia, hanno una funzione "creatrice". Esse servono a frantumare le condizioni sociali e di lavoro, a dividere e contrapporre gli interessi, a fare entrare nel Dna di ogni persona che la sconfitta e di uno è la salvezza di un altro. La riforma del modello contrattuale vuole suggellare questa situazione. Distruggendo il contratto nazionale e limitando la contrattazione aziendale al rapporto tra salario e produttività, essa punta a selezionare una nuova specie di lavoratori super flessibili, super obbedienti e super impauriti. E per il sindacato resta la funzione della complicità, come è scritto nel libro Verde del governo.

Se è vero che le crisi sono occasioni, quella italiana sta delineando la possibilità di distruggere ogni base materiale dei principi contenuti nella Costituzione della Repubblica. Bisogna fermarli, bisogna travolgerli come stava scritto in uno striscione degli studenti. Non ci sono mediazioni rispetto al disegno di selezione sociale che sta avanzando sotto la spinta della Confindustria e del governo. O lo sconfiggiamo o ne verremo distrutti. Per questo lo sciopero del 12 dicembre non può concludere, ma deve dare l'avvio a un ciclo di lotte in grado di imporre un'altra agenda politica e sociale. Alla triade privato, mercato, flessibilità, bisogna contrapporre la difesa e l'estensione del pubblico sociale, dei diritti e dei salari. E l'Europa di Maastricht è nostro avversario così come il governo Berlusconi. C'è sempre meno spazio per quella cultura riformista che pensava di coniugare liberismo economico ed equità sociale. Per questo ci paiono sempre più stanchi e inutili i discorsi sull'economia sociale di mercato di tanti benpensanti di centrosinistra e centrodestra.

Solo un cambiamento radicale nell'economia e nella società può sconfiggere il disegno reazionario dei poteri e delle forze che ci hanno portato alla crisi attuale e che pensano di farla pagare interamente a noi. O si cambia davvero, o si precipita in una società mostruosa che avrà come necessario corollario l'autoritarismo nelle istituzioni. Forse è proprio la dimensione e la brutalità delle alternative che ci spaventa e frena, ma se questa è la realtà allora è il momento di avere coraggio.



da Liberazione - 28-11-2008