ALTO ADIGE 01 GIUGNO 2008
Grande successo per la conferenza del giurista che ha lanciato messaggi pessimistici
«I mercati sono a rischio, arriva un’altra crisi»
Rossi critico con il capitalismo moderno: «La concorrenza ha ucciso la democrazia»
Nel 1970 il capo della Gm prendeva uno stipendio 70 volte superiore a quello di un operaio, ora è 900 volte, è un disastro
UBALDO CORDELLINI
TRENTO. «La Fenice sta bruciando e non ce ne accorgiamo». Chiunque abbia investito i suoi soldi in borsa o giù di là non sarà uscito molto rassicurato dal Teatro Sociale dove il professor Guido Rossi (ex presidente Telecom, ex Commissario della Federazione gioco calcio, ex un po’ di tutto) ha parlato delle patologie del capitalismo. «C’è una bomba fatta di 45 trilioni di dollari investiti in derivati che non sono altro che scommesse sull’insolvibilità delle società, prima o poi scoppierà», ha detto.
Quello che Eugenio Scalfari chiamava «gran borghese illuminato» ha parlato a lungo, stimolato dalle domande del corrispondente di Repubblica a Pechino Federico Rampini. Come al solito in questo festival, il teatro era pieno. Non volava neanche una mosca. Tutti hanno ascoltato in silenzio le analisi di Rossi che ha paragonato il sistema finanziario mondiale ad una fenice che sta bruciando. Il giurista ha detto che non ci sono gli strumenti adeguati a controllare la speculazione dei fondi e la proliferazione dei derivati: «Il mercato non è più quello classico. Oggi il 70 per cento delle azioni è in mano ai fondi e non a persone singole. Questo conta perché i singoli tutelano il proprio risparmio, i fondi rischiano».
Rossi ha criticato l’opacità dei fondi sovrani, ovvero quei fondi che gestiscono risorse pubbliche di vari stati, molti dell’Asia. Ha aggiunto che i mercati finanziari non offrono protezioni e potrebbero presto incappare in un’altra crisi ancora più grave di quella dei subprime. Per questo si è detto in disaccordo con il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che, proprio ieri mattina nella sua relazione finale, ha detto che il sistema bancario italiano è meno esposto di quello di altri paesi: «Non condivido il messaggio rassicurante di Draghi - ha detto Rossi - Chi dice che le nostre banche non sono esposte alla crisi non tiene conto che ci sono 45 trilioni di dollari investiti in un mercato costituiti da derivati che non sono altro che scommesse sull’incapacità delle società per azioni di rientrare dal proprio debito. Lo ha scritto George Soros sulla Ney York books review. Questa è una bomba che, se scoppia, può travolgere tutto». Rampini ha commentato scherzando: «Per fortuna che le banche sono chiuse, altrimenti il Sociale si svuotava perché tutti sarebbero andati a ritirare i propri risparmi».
La conferenza di Rossi è proseguita tra citazioni di Keynes e critiche al nuovo codice societario italiano, nonché alla mentalità in genere di chi dovrebbe comprendere che i mercati finanziari sono una giungla vera e propria, ma non lo fa. Il giurista ha citato Robert Reich: «La concorrenza ha ucciso la democrazia. Per tenere bassi i costi sono stati tagliati i diritti dei lavoratori. Wall Mart è la dodicesima società del mondo e non ha i sindacati». Per dare un esempio di questa situazione, Rossi ha citato un dato sconvolgente, anche se non nuovo: «Nel 1970 l’amministratore delegato della General Motors prendeva un salario che era 70 volte superiore al salario medio di un operaio. Nel 2006 l’amministratore delegato di Wall Mart ha preso uno stipendio che era 900 volte lo stipendio medio di un proprio dipendente. Questo è insostenibile. Tanto più che si può dire che ormai siamo ai robber managers, i managers banditi».
In mezzo a tanto pessimismo, Rossi ha dato anche un messaggio di speranza, anche se piccolo: «La nostra unica speranza è rimanere attaccati all’Europa. Solo lei ci può dare le regole giuste». Rossi ha anche invocato una concob europea per sorvegliare le borse e ha chiesto che molti derivati vengano eliminati perché troppo pericolosi.
LUCIANO GALLINO
«Lavoro e flessibilità un processo evitabile»
TRENTO. In Italia tra i 10 e gli 11 milioni di persone hanno un lavoro “flessibile”, e di questi 5-6 milioni sono i “precari per legge”, lavoratori con contratti atipici ma regolari, il resto è tutto lavoro nero. Luciano Gallino, uno dei padri della sociologia in Italia e uno dei massimi esperti del lavoro, parla quasi sottovoce ma ciò che dice ha il fragore di un tuono: «Non è vero che la flessibilità del lavoro sia un processo virtuoso e, soprattutto, inevitabile». Di economisti che la pensano come lui ce ne sono pochi e sono quelli convinti che debba essere la politica a governare l’economia, non viceversa. Un controcanto sviluppato nel suo ultimo libro “Il lavoro non è una merce”.
DANIELE CHECCHI
«Misurare il merito? E’ quasi impossibile»
TRENTO. Tante questioni in ballo, poche certezze. Daniele Checchi, professore di economia del lavoro alla Statale di Milano avverte subito la platea giunta ieri mattina ad ascoltarlo: «Il tema del merito è scivoloso ed ideologico. Dal punto di vista teorico esso è visto come principio allocativo; sotto l’ottica empirica la messa in atto del merito è davvero complicato». Il motivo? Perché non è ancora del tutto chiaro cosa si deve andare a misurare quando si parla di merito. Ma è possibile misurare il merito? «Ci hanno provato e ci provano in tanti, ma isolare una componente “generica” da una “ambientale” è impossibile perché il talento e l’impegno tendono a muoversi insieme.
Grande successo per la conferenza del giurista che ha lanciato messaggi pessimistici
«I mercati sono a rischio, arriva un’altra crisi»
Rossi critico con il capitalismo moderno: «La concorrenza ha ucciso la democrazia»
Nel 1970 il capo della Gm prendeva uno stipendio 70 volte superiore a quello di un operaio, ora è 900 volte, è un disastro
UBALDO CORDELLINI
TRENTO. «La Fenice sta bruciando e non ce ne accorgiamo». Chiunque abbia investito i suoi soldi in borsa o giù di là non sarà uscito molto rassicurato dal Teatro Sociale dove il professor Guido Rossi (ex presidente Telecom, ex Commissario della Federazione gioco calcio, ex un po’ di tutto) ha parlato delle patologie del capitalismo. «C’è una bomba fatta di 45 trilioni di dollari investiti in derivati che non sono altro che scommesse sull’insolvibilità delle società, prima o poi scoppierà», ha detto.
Quello che Eugenio Scalfari chiamava «gran borghese illuminato» ha parlato a lungo, stimolato dalle domande del corrispondente di Repubblica a Pechino Federico Rampini. Come al solito in questo festival, il teatro era pieno. Non volava neanche una mosca. Tutti hanno ascoltato in silenzio le analisi di Rossi che ha paragonato il sistema finanziario mondiale ad una fenice che sta bruciando. Il giurista ha detto che non ci sono gli strumenti adeguati a controllare la speculazione dei fondi e la proliferazione dei derivati: «Il mercato non è più quello classico. Oggi il 70 per cento delle azioni è in mano ai fondi e non a persone singole. Questo conta perché i singoli tutelano il proprio risparmio, i fondi rischiano».
Rossi ha criticato l’opacità dei fondi sovrani, ovvero quei fondi che gestiscono risorse pubbliche di vari stati, molti dell’Asia. Ha aggiunto che i mercati finanziari non offrono protezioni e potrebbero presto incappare in un’altra crisi ancora più grave di quella dei subprime. Per questo si è detto in disaccordo con il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che, proprio ieri mattina nella sua relazione finale, ha detto che il sistema bancario italiano è meno esposto di quello di altri paesi: «Non condivido il messaggio rassicurante di Draghi - ha detto Rossi - Chi dice che le nostre banche non sono esposte alla crisi non tiene conto che ci sono 45 trilioni di dollari investiti in un mercato costituiti da derivati che non sono altro che scommesse sull’incapacità delle società per azioni di rientrare dal proprio debito. Lo ha scritto George Soros sulla Ney York books review. Questa è una bomba che, se scoppia, può travolgere tutto». Rampini ha commentato scherzando: «Per fortuna che le banche sono chiuse, altrimenti il Sociale si svuotava perché tutti sarebbero andati a ritirare i propri risparmi».
La conferenza di Rossi è proseguita tra citazioni di Keynes e critiche al nuovo codice societario italiano, nonché alla mentalità in genere di chi dovrebbe comprendere che i mercati finanziari sono una giungla vera e propria, ma non lo fa. Il giurista ha citato Robert Reich: «La concorrenza ha ucciso la democrazia. Per tenere bassi i costi sono stati tagliati i diritti dei lavoratori. Wall Mart è la dodicesima società del mondo e non ha i sindacati». Per dare un esempio di questa situazione, Rossi ha citato un dato sconvolgente, anche se non nuovo: «Nel 1970 l’amministratore delegato della General Motors prendeva un salario che era 70 volte superiore al salario medio di un operaio. Nel 2006 l’amministratore delegato di Wall Mart ha preso uno stipendio che era 900 volte lo stipendio medio di un proprio dipendente. Questo è insostenibile. Tanto più che si può dire che ormai siamo ai robber managers, i managers banditi».
In mezzo a tanto pessimismo, Rossi ha dato anche un messaggio di speranza, anche se piccolo: «La nostra unica speranza è rimanere attaccati all’Europa. Solo lei ci può dare le regole giuste». Rossi ha anche invocato una concob europea per sorvegliare le borse e ha chiesto che molti derivati vengano eliminati perché troppo pericolosi.
LUCIANO GALLINO
«Lavoro e flessibilità un processo evitabile»
TRENTO. In Italia tra i 10 e gli 11 milioni di persone hanno un lavoro “flessibile”, e di questi 5-6 milioni sono i “precari per legge”, lavoratori con contratti atipici ma regolari, il resto è tutto lavoro nero. Luciano Gallino, uno dei padri della sociologia in Italia e uno dei massimi esperti del lavoro, parla quasi sottovoce ma ciò che dice ha il fragore di un tuono: «Non è vero che la flessibilità del lavoro sia un processo virtuoso e, soprattutto, inevitabile». Di economisti che la pensano come lui ce ne sono pochi e sono quelli convinti che debba essere la politica a governare l’economia, non viceversa. Un controcanto sviluppato nel suo ultimo libro “Il lavoro non è una merce”.
DANIELE CHECCHI
«Misurare il merito? E’ quasi impossibile»
TRENTO. Tante questioni in ballo, poche certezze. Daniele Checchi, professore di economia del lavoro alla Statale di Milano avverte subito la platea giunta ieri mattina ad ascoltarlo: «Il tema del merito è scivoloso ed ideologico. Dal punto di vista teorico esso è visto come principio allocativo; sotto l’ottica empirica la messa in atto del merito è davvero complicato». Il motivo? Perché non è ancora del tutto chiaro cosa si deve andare a misurare quando si parla di merito. Ma è possibile misurare il merito? «Ci hanno provato e ci provano in tanti, ma isolare una componente “generica” da una “ambientale” è impossibile perché il talento e l’impegno tendono a muoversi insieme.
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