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domenica 1 febbraio 2009

«Attenzione, è guerra tra proletari ma gli operai inglesi non sono leghisti»



Manifestazione dei lavoratori della raffineria Total Lindsey contro gli operai italiani e ...



Tonino Bucci



British jobs for british workers. Con questo slogan - lavori britannici per lavoratori britannici - mezza dozzina di raffinerie sono scese in sciopero. Lo hanno in solidarietà con la Lindsey, uno stabilimento sulla costa orientale controllato da una società francese, i cui operai sono entrati in rivolta non appena saputo dell'assunzione di un gruppo di italiani all'indomani di una gara d'appalto. La proverbiale stampa scandalistica inglese l'ha subito messa sul piano della xenofobia, italiani contro inglesi. Però l'effetto immediato della protesta, sostenuta anche dai sindacati locali, è quello. Gli operai inglesi si lamentano per la concorrenza "sleale" dei lavoratori italiani, disponibili ad accettare un posto di lavoro a paghe più basse di quelle normalmente percepite in Gran Bretagna. Le maestranze delle raffinerie dicono che gli italiani gli rubano il posto, che "li hanno presi perché sono pagati meno, ma non sanno lavorare". Insomma, non si può negare che gli operai inglesi siano vittime di un meccanismo economico che porta al ribasso delle condizioni lavorative, epperò qualche segnale inquietante c'è - come sostiene Marco Revelli - in questo intreccio tra voglia di protezionismo e rischio di una resipiscenza della guerra tra popoli e razze.



Nazionalismo e competizione tra lavoratori di diversa nazionalità. La peggiore via di uscita alla crisi che si possa pensare, no?

Mi sembra un segnale inquietante di come la crisi morde sulla società. Non va sottovalutato. Andremo incontro a effetti mostruosi se non ci saranno culture politiche capaci di filtrare gli effetti regressivi della crisi economica e di governarne l'impatto sociale. Sarà la guerra tra poveri se non si costruiscono anticorpi nella cultura politica. C'è un istinto primordiale alla chiusura nazionalistica che si diffonde in tutti i paesi. La crisi enfatizza tutte le fratture nel momento in cui scatta il meccanismo della sopravvivenza. E' la mors tua, vita mea. Non c'è scampo: o hai una cultura politica capace di fare da filtro oppure la risposta è quella che dà Maroni.



Il leghismo avrà pure aspetti folcloristici, però è anche, alla sua maniera, una risposta alla crisi attuale: guerra agli immigrati ed esaltazione del suolo delle piccole patrie. Sarà il modello per il futuro come dimostra la vicenda inglese?

L'istinto della Lega a chiudere i confini nei confronti dei migranti qui ci ritorna sulla testa. La stessa cosa succede allo specchio nei confronti dei lavoratori italiani in Gran Bretagna. E domani potrebbe scattare un analogo meccanismo di rifiuto delle merci italiane da parte dei tedeschi. I nostri politici che speculano su questi istinti belluini giocano col fuoco.



L'unica differenza è che il leghismo italiano soffia sull'odio per gli immigrati che fanno i lavori in basso nella gerarchia sociale, mentre in Gran Bretagna la contesa riguarda lavoratori qualificati. Non è così?

Questo dipende dal fatto che l'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro si colloca a un livello più alto. La competizione si gioca perciò all'interno della gerarchia sociale anche al livello dei tecnici. Ma non c'è una differenza qualitativa. E' che la composizione sociale italiana è appiattita sui lavori a bassa qualificazione, quindi la guerra si fa contro i maghrebini, gli africani e i rumeni. Alla radice ci sta l'alternativa tra il potenziale di imbarbarimento che ha la crisi e le culture politiche che possono costruire anticorpi. Il problema è che queste culture politiche sono collassate. Anche all'interno del mondo del lavoro fa presa la seduzione del leghismo.



Appunto. Dietro la protesta "antitaliana" degli operai britannici ci sono anche i sindacati locali. Avranno anche le loro ragioni, ci sono posti di lavoro a rischio, però così facendo non rischiano di incrementare la guerra tra "proletari"?

Probabilmente in questo meccanismo è coinvolta anche una parte del mondo sindacale. Il fenomeno è determinato anche dalla diversa collocazione dell'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro. La Gran Bretagna ha sperimentato i guasti dell'ultra-liberismo. Conserva nella memoria la follia thachteriana prima e blairiana. L'apertura delle frontiere del mercato è servita come clava per massacrare la parte organizzata del mondo del lavoro e delle Unions. L'Inghilterra si è affidata al neoliberismo in forma più radicale rispetto all'Italia. La vicenda di questi giorni mi sembra un colpo di rimbalzo inquietante e, direi, anche comprensibile in questo quadro.



In fondo parliamo di una costante classica nella storia del movimento operaio. Si potrebbe risalire allo stesso Marx che nel cosiddetto "Discorso sul libero scambio" stigmatizzava il protezionismo come forma di conservatorismo. Insomma, cosa deve fare un sindacato, tutelare i lavoratori dalla concorrenza "sleale" degli stranieri oppure abbracciare la filosofia della libera circolazione di merci ed esseri umani?

Se non hai una forte cultura dell'internazionalismo proletario, una cultura della solidarietà di classe tra lavoratori al di là dei confini, allora la reazione istintiva è quella là, la guerra tra poveri. Poi questa guerra potrà esprimersi ai livelli più alti nei paesi a maggior contenuto tecnologico e di maggior qualificazione della forza lavoro come è l'Inghilterra. Qui da noi probabilmente non avremmo un moto di rivolta contro gli ingegneri inglesi che venissero a gestire degli impianti sofisticati in Italia per la semplice ragione che di impianti sofisticati ne abbiamo pochi. Quelli che vengono a costruire impianti mediamenti sofisticati in Italia lo fanno perché i salari dei nostri ingegneri sono più bassi di quelli dei paesi centrali. La ragione è solo questa. quando la Motorola ha aperto i suoi stabilimenti a Torino ha assunto un centinaio di ingegneri italiani. Perché costavano di meno di quelli inglesi, tedeschi, giapponesi o americani. Poi ha deciso di chiudere e li ha licenziati. Se oggi in Inghilterra si ricorre al subappalto di imprese ad alta qualificazione italiane è perché qui i salari anche di operai altamente specializzati sono stipendi da fame. I nostri lavoratori che vanno là vanno in dumping. Il meccanismo economico è quello. E' un segnale che ci dimostra quanto sfasciato sia il nostro mondo del lavoro, visto che la nostra manodopera, persino quella altamente qualificata, risulta conveniente per gli altri paesi europei.



Non a caso i lavoratori inglesi protestano perché gli italiani accettano di fare un lavoro qualificato a paghe più basse e così facendo spingono al peggioramento delle condizioni lavorative e della forza contrattuale di tutti gli altri. Sbagliano?

Non hanno tutti i torti. E comunque hanno molte più ragioni di quanto non ne abbiano i padani nell'alzare barricate contro i maghrebini che vengono a fare lavori che gli italiani non farebbero.



Insomma questi operai inglesi non sono come li dipinge il giornale "Libero" che incita a imparare da loro come si difendono i posti di lavoro...

Il meccanismo è lo stesso di Maroni ma in condizioni molto diverse. I nostri lavoratori in Inghilterra sono lavoratori sottopagati che si collocano allo stesso livello di qualificazione dei lavoratori inglesi, mentre i nostri migranti non in competizioni con la maggior parte dei nostri lavoratori.



Dal punto di vista della nostra cultura politica dobbiamo prepararci a questo scenario. Ormai sempre più governi annunciano misure a favore dei lavoratori dei propri paesi a partire dagli Usa di Obama. O no?

Il mondo orribile del neoliberismo ha al di sotto una dimensione ancora più orribile che è quella del mondo post-neoliberista e iperprotezionista. E' quello che successe tra gli anni 20 e 30. Prepara le peggiori catastrofi belliche, razziali, totalitarie. Il rimbalzo protezionista dopo l'ubriacatura liberista è micidiale.



Può innescare una spirale in fondo alla quale c'è la guerra e la recrudescenza dei conflitti di razza. Dalla crisi del '29 si è usciti con la Seconda guerra mondiale, mica con il New Deal. Anche l'economista Samuelson dice di stare attenti all'iperprotezionismo del quale, a casa nostra, è interprete Tremonti...

Certo, il protezionismo ha dentro di sé la guerra. Tremonti è molto inquietante in questa sua involuzione verso il demos, cioè verso quella dimensione che negli anni Trenta prese il nome di völkisch. Bisogna fare attenzione a questa regressione verso l'identitarismo su base nazionale o su base populistica. Il populismo protezionistico ha un potenziale distruttivo immenso.



da "Liberazione"

01/02/2009





Come fanno gli operai


di Loris Campetti


su Il Manifesto del 31/01/2009


«Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno». Non siamo a Gela, e gli «sporchi immigrati» che rubano il lavoro agli operai indigeni non sono «bassa manovalanza» tunisina o rumena. Siamo al porto di Grimsby, nel Lincolnshire, e i lavoratori contestati sono italiani. Siciliani per la precisione. Gli operai in lotta che sfilano in corteo in molti porti inglesi contro gli «stranieri» lanciano un'accusa non priva di fondamento: le ditte italiane non rispettano le norme di sicurezza. Poi dicono un'altra cosa, probabilmente falsa, comunque preoccupante: gli italiani fanno errori sul lavoro. Insomma, siamo in pieno dumping sociale? Tutto è iniziato con un'asta lanciata dalla raffineria francese della Total e vinta da una ditta di Siracusa, la Irem, che si porta in Gran Bretagna centinaia di operai italiani, e portoghesi. Questa volta l'esercito del lavoro di riserva siamo noi, gli italiani. E il prode presidente della Sicilia, Lombardo, urla non più contro i migranti nordafricani ma contro «la perfida Albione» e a sua volta minaccia: visto «l'odio xenofono contro i siciliani» romperemo le trattative con l'inglese Erg-Shell che dovrebbe realizzare un rigassificatore a Priolo, nella stessa provincia di Siracusa che è la patria della Irem, contestata in Gran Bretagna insieme ai suoi operai «stranieri».

Quando la crisi economica precipita, brucia posti di lavoro e determina l'emergenza sociale, contraddizioni come questa esplodono ovunque, ingigantite dalle politiche statali protezioniste. Ognuno difende i suoi prodotti. E i suoi operai, che per essere più competitivi devono costare di meno, in salari e diritti. Dal nord degli Usa le lavorazioni non si spostano più oltre il muro della vergogna che spacca in due l'America ma nel sud degli States, dove salari e diritti sono competivi con quelli delle maquilladoras messicane. Obama dice che l'acciaio usato nel suo paese dev'essere prodotto nel suo paese. Sarkozy darà i soldi a Peugeot e Renault solo se non delocalizzerano il lavoro all'estero per difendere quello degli operai francesi. CONTINUA | PAGINA 3

Fa eccezione Berlusconi, che tanto è ottimista.

Qualche crisi fa, quando i giapponesi invasero il mercato Usa dell'auto, fece parlare di sè un concessionario californiano della Gm che aveva messo a disposizione del pubblico una Toyota rossa fiammante e chiedeva 10 dollari per ogni martellata. C'era la fila davanti al suo autosalone.

L'illusione di difendersi contrapponendo tra loro gli stati si traduce a livello sociale in una suicida guerra tra poveri, il conflitto tra capitale e lavoro rischia di precipitare in un conflitto tra lavoratori. L'Europa a 27 si dimostra lontana mille miglia da qualcosa che assomigli a un'entità politica, e ogni paese dà risposte individuali. E i sindacati, rispetto alla globalizzazione capitalistica sono, se non nudi inadeguati. Non è contro i processi di internazionalizzazione che si possono alzare le barricate, ma in difesa - e per l'estensione - dei diritti dei lavoratori, a partire dal diritto al lavoro. E' facile a dirsi, terribilmente difficile da realizzare. Ma è l'unica strada possibile.

«Attenzione, è guerra tra proletari ma gli operai inglesi non sono leghisti»



Manifestazione dei lavoratori della raffineria Total Lindsey contro gli operai italiani e ...



Tonino Bucci



British jobs for british workers. Con questo slogan - lavori britannici per lavoratori britannici - mezza dozzina di raffinerie sono scese in sciopero. Lo hanno in solidarietà con la Lindsey, uno stabilimento sulla costa orientale controllato da una società francese, i cui operai sono entrati in rivolta non appena saputo dell'assunzione di un gruppo di italiani all'indomani di una gara d'appalto. La proverbiale stampa scandalistica inglese l'ha subito messa sul piano della xenofobia, italiani contro inglesi. Però l'effetto immediato della protesta, sostenuta anche dai sindacati locali, è quello. Gli operai inglesi si lamentano per la concorrenza "sleale" dei lavoratori italiani, disponibili ad accettare un posto di lavoro a paghe più basse di quelle normalmente percepite in Gran Bretagna. Le maestranze delle raffinerie dicono che gli italiani gli rubano il posto, che "li hanno presi perché sono pagati meno, ma non sanno lavorare". Insomma, non si può negare che gli operai inglesi siano vittime di un meccanismo economico che porta al ribasso delle condizioni lavorative, epperò qualche segnale inquietante c'è - come sostiene Marco Revelli - in questo intreccio tra voglia di protezionismo e rischio di una resipiscenza della guerra tra popoli e razze.



Nazionalismo e competizione tra lavoratori di diversa nazionalità. La peggiore via di uscita alla crisi che si possa pensare, no?

Mi sembra un segnale inquietante di come la crisi morde sulla società. Non va sottovalutato. Andremo incontro a effetti mostruosi se non ci saranno culture politiche capaci di filtrare gli effetti regressivi della crisi economica e di governarne l'impatto sociale. Sarà la guerra tra poveri se non si costruiscono anticorpi nella cultura politica. C'è un istinto primordiale alla chiusura nazionalistica che si diffonde in tutti i paesi. La crisi enfatizza tutte le fratture nel momento in cui scatta il meccanismo della sopravvivenza. E' la mors tua, vita mea. Non c'è scampo: o hai una cultura politica capace di fare da filtro oppure la risposta è quella che dà Maroni.



Il leghismo avrà pure aspetti folcloristici, però è anche, alla sua maniera, una risposta alla crisi attuale: guerra agli immigrati ed esaltazione del suolo delle piccole patrie. Sarà il modello per il futuro come dimostra la vicenda inglese?

L'istinto della Lega a chiudere i confini nei confronti dei migranti qui ci ritorna sulla testa. La stessa cosa succede allo specchio nei confronti dei lavoratori italiani in Gran Bretagna. E domani potrebbe scattare un analogo meccanismo di rifiuto delle merci italiane da parte dei tedeschi. I nostri politici che speculano su questi istinti belluini giocano col fuoco.



L'unica differenza è che il leghismo italiano soffia sull'odio per gli immigrati che fanno i lavori in basso nella gerarchia sociale, mentre in Gran Bretagna la contesa riguarda lavoratori qualificati. Non è così?

Questo dipende dal fatto che l'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro si colloca a un livello più alto. La competizione si gioca perciò all'interno della gerarchia sociale anche al livello dei tecnici. Ma non c'è una differenza qualitativa. E' che la composizione sociale italiana è appiattita sui lavori a bassa qualificazione, quindi la guerra si fa contro i maghrebini, gli africani e i rumeni. Alla radice ci sta l'alternativa tra il potenziale di imbarbarimento che ha la crisi e le culture politiche che possono costruire anticorpi. Il problema è che queste culture politiche sono collassate. Anche all'interno del mondo del lavoro fa presa la seduzione del leghismo.



Appunto. Dietro la protesta "antitaliana" degli operai britannici ci sono anche i sindacati locali. Avranno anche le loro ragioni, ci sono posti di lavoro a rischio, però così facendo non rischiano di incrementare la guerra tra "proletari"?

Probabilmente in questo meccanismo è coinvolta anche una parte del mondo sindacale. Il fenomeno è determinato anche dalla diversa collocazione dell'Inghilterra nella divisione internazionale del lavoro. La Gran Bretagna ha sperimentato i guasti dell'ultra-liberismo. Conserva nella memoria la follia thachteriana prima e blairiana. L'apertura delle frontiere del mercato è servita come clava per massacrare la parte organizzata del mondo del lavoro e delle Unions. L'Inghilterra si è affidata al neoliberismo in forma più radicale rispetto all'Italia. La vicenda di questi giorni mi sembra un colpo di rimbalzo inquietante e, direi, anche comprensibile in questo quadro.



In fondo parliamo di una costante classica nella storia del movimento operaio. Si potrebbe risalire allo stesso Marx che nel cosiddetto "Discorso sul libero scambio" stigmatizzava il protezionismo come forma di conservatorismo. Insomma, cosa deve fare un sindacato, tutelare i lavoratori dalla concorrenza "sleale" degli stranieri oppure abbracciare la filosofia della libera circolazione di merci ed esseri umani?

Se non hai una forte cultura dell'internazionalismo proletario, una cultura della solidarietà di classe tra lavoratori al di là dei confini, allora la reazione istintiva è quella là, la guerra tra poveri. Poi questa guerra potrà esprimersi ai livelli più alti nei paesi a maggior contenuto tecnologico e di maggior qualificazione della forza lavoro come è l'Inghilterra. Qui da noi probabilmente non avremmo un moto di rivolta contro gli ingegneri inglesi che venissero a gestire degli impianti sofisticati in Italia per la semplice ragione che di impianti sofisticati ne abbiamo pochi. Quelli che vengono a costruire impianti mediamenti sofisticati in Italia lo fanno perché i salari dei nostri ingegneri sono più bassi di quelli dei paesi centrali. La ragione è solo questa. quando la Motorola ha aperto i suoi stabilimenti a Torino ha assunto un centinaio di ingegneri italiani. Perché costavano di meno di quelli inglesi, tedeschi, giapponesi o americani. Poi ha deciso di chiudere e li ha licenziati. Se oggi in Inghilterra si ricorre al subappalto di imprese ad alta qualificazione italiane è perché qui i salari anche di operai altamente specializzati sono stipendi da fame. I nostri lavoratori che vanno là vanno in dumping. Il meccanismo economico è quello. E' un segnale che ci dimostra quanto sfasciato sia il nostro mondo del lavoro, visto che la nostra manodopera, persino quella altamente qualificata, risulta conveniente per gli altri paesi europei.



Non a caso i lavoratori inglesi protestano perché gli italiani accettano di fare un lavoro qualificato a paghe più basse e così facendo spingono al peggioramento delle condizioni lavorative e della forza contrattuale di tutti gli altri. Sbagliano?

Non hanno tutti i torti. E comunque hanno molte più ragioni di quanto non ne abbiano i padani nell'alzare barricate contro i maghrebini che vengono a fare lavori che gli italiani non farebbero.



Insomma questi operai inglesi non sono come li dipinge il giornale "Libero" che incita a imparare da loro come si difendono i posti di lavoro...

Il meccanismo è lo stesso di Maroni ma in condizioni molto diverse. I nostri lavoratori in Inghilterra sono lavoratori sottopagati che si collocano allo stesso livello di qualificazione dei lavoratori inglesi, mentre i nostri migranti non in competizioni con la maggior parte dei nostri lavoratori.



Dal punto di vista della nostra cultura politica dobbiamo prepararci a questo scenario. Ormai sempre più governi annunciano misure a favore dei lavoratori dei propri paesi a partire dagli Usa di Obama. O no?

Il mondo orribile del neoliberismo ha al di sotto una dimensione ancora più orribile che è quella del mondo post-neoliberista e iperprotezionista. E' quello che successe tra gli anni 20 e 30. Prepara le peggiori catastrofi belliche, razziali, totalitarie. Il rimbalzo protezionista dopo l'ubriacatura liberista è micidiale.



Può innescare una spirale in fondo alla quale c'è la guerra e la recrudescenza dei conflitti di razza. Dalla crisi del '29 si è usciti con la Seconda guerra mondiale, mica con il New Deal. Anche l'economista Samuelson dice di stare attenti all'iperprotezionismo del quale, a casa nostra, è interprete Tremonti...

Certo, il protezionismo ha dentro di sé la guerra. Tremonti è molto inquietante in questa sua involuzione verso il demos, cioè verso quella dimensione che negli anni Trenta prese il nome di völkisch. Bisogna fare attenzione a questa regressione verso l'identitarismo su base nazionale o su base populistica. Il populismo protezionistico ha un potenziale distruttivo immenso.



da "Liberazione"

01/02/2009





Come fanno gli operai


di Loris Campetti


su Il Manifesto del 31/01/2009


«Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno». Non siamo a Gela, e gli «sporchi immigrati» che rubano il lavoro agli operai indigeni non sono «bassa manovalanza» tunisina o rumena. Siamo al porto di Grimsby, nel Lincolnshire, e i lavoratori contestati sono italiani. Siciliani per la precisione. Gli operai in lotta che sfilano in corteo in molti porti inglesi contro gli «stranieri» lanciano un'accusa non priva di fondamento: le ditte italiane non rispettano le norme di sicurezza. Poi dicono un'altra cosa, probabilmente falsa, comunque preoccupante: gli italiani fanno errori sul lavoro. Insomma, siamo in pieno dumping sociale? Tutto è iniziato con un'asta lanciata dalla raffineria francese della Total e vinta da una ditta di Siracusa, la Irem, che si porta in Gran Bretagna centinaia di operai italiani, e portoghesi. Questa volta l'esercito del lavoro di riserva siamo noi, gli italiani. E il prode presidente della Sicilia, Lombardo, urla non più contro i migranti nordafricani ma contro «la perfida Albione» e a sua volta minaccia: visto «l'odio xenofono contro i siciliani» romperemo le trattative con l'inglese Erg-Shell che dovrebbe realizzare un rigassificatore a Priolo, nella stessa provincia di Siracusa che è la patria della Irem, contestata in Gran Bretagna insieme ai suoi operai «stranieri».

Quando la crisi economica precipita, brucia posti di lavoro e determina l'emergenza sociale, contraddizioni come questa esplodono ovunque, ingigantite dalle politiche statali protezioniste. Ognuno difende i suoi prodotti. E i suoi operai, che per essere più competitivi devono costare di meno, in salari e diritti. Dal nord degli Usa le lavorazioni non si spostano più oltre il muro della vergogna che spacca in due l'America ma nel sud degli States, dove salari e diritti sono competivi con quelli delle maquilladoras messicane. Obama dice che l'acciaio usato nel suo paese dev'essere prodotto nel suo paese. Sarkozy darà i soldi a Peugeot e Renault solo se non delocalizzerano il lavoro all'estero per difendere quello degli operai francesi. CONTINUA | PAGINA 3

Fa eccezione Berlusconi, che tanto è ottimista.

Qualche crisi fa, quando i giapponesi invasero il mercato Usa dell'auto, fece parlare di sè un concessionario californiano della Gm che aveva messo a disposizione del pubblico una Toyota rossa fiammante e chiedeva 10 dollari per ogni martellata. C'era la fila davanti al suo autosalone.

L'illusione di difendersi contrapponendo tra loro gli stati si traduce a livello sociale in una suicida guerra tra poveri, il conflitto tra capitale e lavoro rischia di precipitare in un conflitto tra lavoratori. L'Europa a 27 si dimostra lontana mille miglia da qualcosa che assomigli a un'entità politica, e ogni paese dà risposte individuali. E i sindacati, rispetto alla globalizzazione capitalistica sono, se non nudi inadeguati. Non è contro i processi di internazionalizzazione che si possono alzare le barricate, ma in difesa - e per l'estensione - dei diritti dei lavoratori, a partire dal diritto al lavoro. E' facile a dirsi, terribilmente difficile da realizzare. Ma è l'unica strada possibile.

sabato 10 gennaio 2009

basta!

















Riflessioni

venerdì 09 gennaio 2009
l' ultima , dettata dalle agenzie pochi minuti fa, è che è stato approvato in parlamento un emendamento della Lega che costringerà gli immigrati a pagare una tassa di 50 Euro ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno; praticamente ogni 3-6 mesi..; un furto di stato, un' estorsione a "politica  armata", un pizzo legalizzato; questa  iniziativa segue altre quali quella di negare le cure mediche agli immigrati irregolari, quella del permesso a punti e così via. Questi rimestolatori di odio, questi istigatori dei peggiori istinti ,questi discriminatori di professione che ci fanno vergognare di essere italiani....non solo vessano gli immigrati oggi ma ci preparano anche un futuro di merda per tutti noi; seminano odio e noi, la nostra società,  raccoglieremo tempesta. Diciamogli di no! Riscopriamo un po' di orgoglio progressista, non voglio neppure dire di sinistra. che so, qualche valore  liberale.Rompiamo il silenzio.



dal sito www.luigigallo.info

basta!

















Riflessioni

venerdì 09 gennaio 2009
l' ultima , dettata dalle agenzie pochi minuti fa, è che è stato approvato in parlamento un emendamento della Lega che costringerà gli immigrati a pagare una tassa di 50 Euro ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno; praticamente ogni 3-6 mesi..; un furto di stato, un' estorsione a "politica  armata", un pizzo legalizzato; questa  iniziativa segue altre quali quella di negare le cure mediche agli immigrati irregolari, quella del permesso a punti e così via. Questi rimestolatori di odio, questi istigatori dei peggiori istinti ,questi discriminatori di professione che ci fanno vergognare di essere italiani....non solo vessano gli immigrati oggi ma ci preparano anche un futuro di merda per tutti noi; seminano odio e noi, la nostra società,  raccoglieremo tempesta. Diciamogli di no! Riscopriamo un po' di orgoglio progressista, non voglio neppure dire di sinistra. che so, qualche valore  liberale.Rompiamo il silenzio.



dal sito www.luigigallo.info

venerdì 9 gennaio 2009

Una gallina «viva» per pranzo

ALTO ADIGE - VENERDÌ, 09 GENNAIO 2009





















 
Via Defregger, denunciati 2 filippini. Volevano macellarla a casa
 
Calissoni: rinchiusa in un sacchetto di plastica Maltrattare è illegale


 BOLZANO. Si portavano a casa una gallina, viva, in un sacchetto di plastica, sbatacchiandolo a destra e a manca, in piena Gries: via Defregger. Protagonisti due filippini. Succedeva spesso anche nella nostra città, in passato, fino a pochi decenni fa: si acquistava un pollo, si portava a casa, si uccideva e si metteva in pentola. Nel frattempo, però, le precauzioni igienico-sanitarie lo hanno sconsigliato e le norme lo hanno poi impedito, demandando la macellazione alle strutture autorizzate e controllate. Racconta l’episodio Claudio Calissoni, della Lav: «Sono le 10.30 di domenica. Due attivisti Lav assistono a una scena raccapricciante: nel cuore della zona residenziale di Gries, una coppia di filippini staziona davanti a un portone; mentre uno suona, l’altro tiene in mano un sacchetto di plastica, quasi completamente rotto. Dal fondo spuntano due zampe». Gli attivisti non credono ai loro occhi, quando vedono muoversi all’interno del sacchetto una gallina, «ancora miracolosamente viva». L’animale viene tenuto dall’uomo per il collo in modo brusco, «come fosse un oggetto inanimato, viene sbattuto violentemente, senza alcuna cura». I due della Lav richiedono immediatamente l’intervento delle forze dell’ordine e spiegano all’extracomunitario che in Italia non è consentito maltrattare alcun animale, neppure se destinato all’alimentazione. Nel frattempo riescono a farsi spontaneamente consegnare l’animale e a metterlo «al sicuro». La polizia interviene «con grande rapidità e professionalità e coadiuvata dalla guardia zoofila dell’Asl pochi minuti dopo prende in custodia l’animale, ora salvo e ricoverato al rifugio per animali della Sill».

 «Sembra fosse il pranzo di domenica, destinato al bambino degli amici di questi signori, anche loro filippini» commenta la responsabile Lav di Bolzano Ester Valzolgher. «E’ probabilmente l’ennesimo caso di maltrattamento ad opera di cittadini extracomunitari che, il più delle volte ignorando le leggi di protezione degli animali e quelle sanitarie, mettono in pratica usi e tradizioni del loro Paese di origine». Basti ricordare la pericolosità di queste pratiche «anche solo rispetto alle malattie contagiose come l’influenza aviaria, che si trasmette proprio dalla macellazione di volatili in ambienti non controllati». (da.pa)


















Riflessioni

venerdì 09 gennaio 2009



dal sito: www.luigigallo.info


“Ennesimo grave  e raccapricciante  episodio di cronaca nera di cui si sono resi protagonisti extracomunitari.


La città trema! Dove arriveremo? 


Come riporta la stampa locale, i due extracomunitari sono stati bloccati in via Fago mentre si recavano da connazionali  niente  - di - meno con una gallina viva in una busta.





Per  fortuna sono stati  notati da solerti militanti della Lav  in servizio permanente di ronda e segnalati  ai carabinieri; quindi  i due sono stati giustamente denunciati per maltrattamenti di  animali e la gallina è stata portata in salvo e vivrà felice e contenta fino alla vecchiaia alla sill , dove potrà raccontare  ai nipotini la triste avventura a lieto  fine; si sospetta infatti che i due immigrati volessero mangiarsela!





Va bene ( fino ad un certo punto....) la solidarietà verso questi profughi  del terzo mondo  ma che volessero mangiarsi  una gallina e non tenersela come animale di compagnia beh, questo  è inaccettabile.  La rappresentante della Lav  ricorda i numerosi episodi  che vedono protagonisti extracomunitari, che non conoscono le nostre civili leggi a difesa degli animali.....”


No,  avete ragione. Non mi riesce di essere divertente e sarcastico come vorrei.


Sono un amante degli animali ma quando leggo queste cose il sangue mi ribolle. Io immagino solo questi due poveri cristi  che oltre aver rovinata la giornata e il pranzo si ritroveranno pure fra capo e collo una denuncia che,  con le famose leggi liberali e illuministiche del nostro paese in tema di stranieri , non potrà che fargli bene ed essergli di aiuto (!).


Che imparino, perbacco come si vive in un paese civile!


Io mi chiedo se non si diffonda un certo razzismo anche con queste amenità. ( il mio pensiero vero userebbe un’ altra parola al posto di amenità) e soprattutto mi chiedo se tanta solerzia e  "raccapriccio" lo si prova anche quando trattiamo gli immigrati come bestie e li rinchiudiamo nel centri di permanenza temporanea ,...










Una gallina «viva» per pranzo

ALTO ADIGE - VENERDÌ, 09 GENNAIO 2009





















 
Via Defregger, denunciati 2 filippini. Volevano macellarla a casa
 
Calissoni: rinchiusa in un sacchetto di plastica Maltrattare è illegale


 BOLZANO. Si portavano a casa una gallina, viva, in un sacchetto di plastica, sbatacchiandolo a destra e a manca, in piena Gries: via Defregger. Protagonisti due filippini. Succedeva spesso anche nella nostra città, in passato, fino a pochi decenni fa: si acquistava un pollo, si portava a casa, si uccideva e si metteva in pentola. Nel frattempo, però, le precauzioni igienico-sanitarie lo hanno sconsigliato e le norme lo hanno poi impedito, demandando la macellazione alle strutture autorizzate e controllate. Racconta l’episodio Claudio Calissoni, della Lav: «Sono le 10.30 di domenica. Due attivisti Lav assistono a una scena raccapricciante: nel cuore della zona residenziale di Gries, una coppia di filippini staziona davanti a un portone; mentre uno suona, l’altro tiene in mano un sacchetto di plastica, quasi completamente rotto. Dal fondo spuntano due zampe». Gli attivisti non credono ai loro occhi, quando vedono muoversi all’interno del sacchetto una gallina, «ancora miracolosamente viva». L’animale viene tenuto dall’uomo per il collo in modo brusco, «come fosse un oggetto inanimato, viene sbattuto violentemente, senza alcuna cura». I due della Lav richiedono immediatamente l’intervento delle forze dell’ordine e spiegano all’extracomunitario che in Italia non è consentito maltrattare alcun animale, neppure se destinato all’alimentazione. Nel frattempo riescono a farsi spontaneamente consegnare l’animale e a metterlo «al sicuro». La polizia interviene «con grande rapidità e professionalità e coadiuvata dalla guardia zoofila dell’Asl pochi minuti dopo prende in custodia l’animale, ora salvo e ricoverato al rifugio per animali della Sill».

 «Sembra fosse il pranzo di domenica, destinato al bambino degli amici di questi signori, anche loro filippini» commenta la responsabile Lav di Bolzano Ester Valzolgher. «E’ probabilmente l’ennesimo caso di maltrattamento ad opera di cittadini extracomunitari che, il più delle volte ignorando le leggi di protezione degli animali e quelle sanitarie, mettono in pratica usi e tradizioni del loro Paese di origine». Basti ricordare la pericolosità di queste pratiche «anche solo rispetto alle malattie contagiose come l’influenza aviaria, che si trasmette proprio dalla macellazione di volatili in ambienti non controllati». (da.pa)


















Riflessioni

venerdì 09 gennaio 2009



dal sito: www.luigigallo.info


“Ennesimo grave  e raccapricciante  episodio di cronaca nera di cui si sono resi protagonisti extracomunitari.


La città trema! Dove arriveremo? 


Come riporta la stampa locale, i due extracomunitari sono stati bloccati in via Fago mentre si recavano da connazionali  niente  - di - meno con una gallina viva in una busta.





Per  fortuna sono stati  notati da solerti militanti della Lav  in servizio permanente di ronda e segnalati  ai carabinieri; quindi  i due sono stati giustamente denunciati per maltrattamenti di  animali e la gallina è stata portata in salvo e vivrà felice e contenta fino alla vecchiaia alla sill , dove potrà raccontare  ai nipotini la triste avventura a lieto  fine; si sospetta infatti che i due immigrati volessero mangiarsela!





Va bene ( fino ad un certo punto....) la solidarietà verso questi profughi  del terzo mondo  ma che volessero mangiarsi  una gallina e non tenersela come animale di compagnia beh, questo  è inaccettabile.  La rappresentante della Lav  ricorda i numerosi episodi  che vedono protagonisti extracomunitari, che non conoscono le nostre civili leggi a difesa degli animali.....”


No,  avete ragione. Non mi riesce di essere divertente e sarcastico come vorrei.


Sono un amante degli animali ma quando leggo queste cose il sangue mi ribolle. Io immagino solo questi due poveri cristi  che oltre aver rovinata la giornata e il pranzo si ritroveranno pure fra capo e collo una denuncia che,  con le famose leggi liberali e illuministiche del nostro paese in tema di stranieri , non potrà che fargli bene ed essergli di aiuto (!).


Che imparino, perbacco come si vive in un paese civile!


Io mi chiedo se non si diffonda un certo razzismo anche con queste amenità. ( il mio pensiero vero userebbe un’ altra parola al posto di amenità) e soprattutto mi chiedo se tanta solerzia e  "raccapriccio" lo si prova anche quando trattiamo gli immigrati come bestie e li rinchiudiamo nel centri di permanenza temporanea ,...










sabato 27 dicembre 2008

BUONE NOTIZIE





Bergamo, niente Bambinello nel presepe.






Il parroco spiega ai fedeli: "Non siete pronti"






In una chiesa di Bergamo il parroco si è rifiutato di mettere la statuetta di Gesù Bambino nel presepe (come accade, per tradizione, il 24 dicembre), perché la gente "non è pronta". E ora fa discutere la scelta di monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, il Tempio votivo di Bergamo, annunciata nel corso dell'omelia, alla Messa di Mezzanotte.

Il sacerdote, che durante le omelie domenicali invita i fedeli a curarsi dei poveri e degli emarginati, ha deciso di comportarsi di conseguenza. E durante l'omelia ha proclamato:



"Questa notte non è Natale. Non siete pronti. Se non sapete accogliere lo straniero, il diverso, non potete accogliere il Bambin Gesù. Perciò Gesù non nasce".



E quindi non ha fatto porre nel presepe della chiesa la statuetta (già pronta) del Bambinello. A chi ha chiesto spiegazioni ha poi detto che il presepe era basato sul racconto di Ezio del Favero 'Al chiaro delle stelle', in cui Gesù Bambino esce dalla culla per andare da un bimbo povero che non osava stargli vicino: "Il messaggio che abbiamo voluto dare è proprio questo: Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E' ora che chi si dice cattolico metta in pratica gli insegnamenti di Cristo".



da: La Repubblica del 27.12.2008

BUONE NOTIZIE





Bergamo, niente Bambinello nel presepe.






Il parroco spiega ai fedeli: "Non siete pronti"






In una chiesa di Bergamo il parroco si è rifiutato di mettere la statuetta di Gesù Bambino nel presepe (come accade, per tradizione, il 24 dicembre), perché la gente "non è pronta". E ora fa discutere la scelta di monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, il Tempio votivo di Bergamo, annunciata nel corso dell'omelia, alla Messa di Mezzanotte.

Il sacerdote, che durante le omelie domenicali invita i fedeli a curarsi dei poveri e degli emarginati, ha deciso di comportarsi di conseguenza. E durante l'omelia ha proclamato:



"Questa notte non è Natale. Non siete pronti. Se non sapete accogliere lo straniero, il diverso, non potete accogliere il Bambin Gesù. Perciò Gesù non nasce".



E quindi non ha fatto porre nel presepe della chiesa la statuetta (già pronta) del Bambinello. A chi ha chiesto spiegazioni ha poi detto che il presepe era basato sul racconto di Ezio del Favero 'Al chiaro delle stelle', in cui Gesù Bambino esce dalla culla per andare da un bimbo povero che non osava stargli vicino: "Il messaggio che abbiamo voluto dare è proprio questo: Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E' ora che chi si dice cattolico metta in pratica gli insegnamenti di Cristo".



da: La Repubblica del 27.12.2008

giovedì 4 dicembre 2008

Dal primo luglio addio al vecchio cimitero

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 04 DICEMBRE 2008





















 
Accesa discussione in consiglio. Tra le novità, la possibilità di conservare a casa l’urna con le ceneri di un parente
 
Ok al regolamento per quello in Galizia. Ci sarà l’area per non cattolici


 LAIVES. Il consiglio comunale ha dedicato un’intera serata di discussione al nuovo regolamento cimiteriale che va a revocare quello in vigore finora e che andava effettivamente cambiato dato che nel frattempo la città ha un cimitero nuovo in zona Galizia. Questo farà in maniera che dal primo luglio del prossimo anno il cimitero vecchio in centro verrà abbandonato definitivamente, ossia che lì non si farà più alcuna inumazione. Poi passeranno decenni prima che al suo posto si faccia altro. La prospettiva di abbandonare il vecchio cimitero però non trova d’accordo tutti.

 Disaccordo c’è anche in seno al consiglio comunale, soprattutto per ragioni legate alla personale sensibilità verso questo argomento, oltre che per ragioni pratiche. «Per questo abbiamo anche deciso, sentita la parrocchia, di organizzare riunioni pubbliche per spiegare il significato di tale scelta - ha detto l’assessore Zanvettor - e ciò che succederà per coloro che vantano delle concessioni al vecchio cimitero oppure hanno ancora la tomba di famiglia».

 È stata anche la serata del consigliere Raimondo Pusateri che ha incalzato continuamente la giunta su variegati aspetti contenuti nel nuovo regolamento cimiteriale. Tra le cose più eclatanti emerse nel dibattito, anche la mancata previsione, nel nuovo cimitero Galizia (in funzione da 13 anni) di uno spazio da riservare a cittadini di fedi diverse da quella cattolica. «Non lo abbiamo fatto - ha detto Zanvettor - perché finora non si è mai manifestata questa esigenza».

      Questo ha però scatenato le reazioni dell’opposizione, sintetizzate infine da un emendamento presentato dal consigliere Rosario Grasso dove si chiede l’area riservata.

Secondo Alberto Alberti (Pd), è pleonastico parlare di area per non cattolici, posto che il cimitero è proprietà del Comune ed è quindi una istituzione laica, dove chiunque deve avere diritto di essere inumato.

 Alla fine nel nuovo regolamento è stata inserita la decisione di prevedere un’area del genere: anche se per i primi 13 anni del nuovo cimitero non è mai emersa la necessità, con l’arrivo costante di cittadini extracomunitari non è da escludere che questa esigenza prima o poi nasca. Altra novità sancita dallo Stato, la possibilità di conservare l’urna con le ceneri del defunto a casa.






Dal primo luglio addio al vecchio cimitero

ALTO ADIGE - GIOVEDÌ, 04 DICEMBRE 2008





















 
Accesa discussione in consiglio. Tra le novità, la possibilità di conservare a casa l’urna con le ceneri di un parente
 
Ok al regolamento per quello in Galizia. Ci sarà l’area per non cattolici


 LAIVES. Il consiglio comunale ha dedicato un’intera serata di discussione al nuovo regolamento cimiteriale che va a revocare quello in vigore finora e che andava effettivamente cambiato dato che nel frattempo la città ha un cimitero nuovo in zona Galizia. Questo farà in maniera che dal primo luglio del prossimo anno il cimitero vecchio in centro verrà abbandonato definitivamente, ossia che lì non si farà più alcuna inumazione. Poi passeranno decenni prima che al suo posto si faccia altro. La prospettiva di abbandonare il vecchio cimitero però non trova d’accordo tutti.

 Disaccordo c’è anche in seno al consiglio comunale, soprattutto per ragioni legate alla personale sensibilità verso questo argomento, oltre che per ragioni pratiche. «Per questo abbiamo anche deciso, sentita la parrocchia, di organizzare riunioni pubbliche per spiegare il significato di tale scelta - ha detto l’assessore Zanvettor - e ciò che succederà per coloro che vantano delle concessioni al vecchio cimitero oppure hanno ancora la tomba di famiglia».

 È stata anche la serata del consigliere Raimondo Pusateri che ha incalzato continuamente la giunta su variegati aspetti contenuti nel nuovo regolamento cimiteriale. Tra le cose più eclatanti emerse nel dibattito, anche la mancata previsione, nel nuovo cimitero Galizia (in funzione da 13 anni) di uno spazio da riservare a cittadini di fedi diverse da quella cattolica. «Non lo abbiamo fatto - ha detto Zanvettor - perché finora non si è mai manifestata questa esigenza».

      Questo ha però scatenato le reazioni dell’opposizione, sintetizzate infine da un emendamento presentato dal consigliere Rosario Grasso dove si chiede l’area riservata.

Secondo Alberto Alberti (Pd), è pleonastico parlare di area per non cattolici, posto che il cimitero è proprietà del Comune ed è quindi una istituzione laica, dove chiunque deve avere diritto di essere inumato.

 Alla fine nel nuovo regolamento è stata inserita la decisione di prevedere un’area del genere: anche se per i primi 13 anni del nuovo cimitero non è mai emersa la necessità, con l’arrivo costante di cittadini extracomunitari non è da escludere che questa esigenza prima o poi nasca. Altra novità sancita dallo Stato, la possibilità di conservare l’urna con le ceneri del defunto a casa.






giovedì 20 novembre 2008

CAMPAGNA DEL FIOCCO BIANCO


Durante l’ultimo consiglio comunale è stata approvata all’unanimità una delibera di adesione alla “Campagna del fiocco bianco”. Si tratta di un’iniziativa che si propone di fare informazione sulla violenza contro le donne assolutamente da condividere non solo per il suo significato, non esclusivamente simbolico, ma anche perché contribuisce a sfatare alcuni luoghi comuni che generano paura, diffidenza, razzismo.





La maggior parte delle violenze contro le donne avviene infatti in ambito domestico, anche se poi fa più clamore l’aggressione da parte di un Rom o di un extracomunitario.





In Italia ogni tre giorni muore una donna uccisa per mano del proprio partner  attuale o ex, il 32% delle donne fra i 16 ed i 70 anni ha subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita, il 14,3% delle donne italiane ha subito un’aggressione dal coniuge, 4 vittime su 5 di aggressioni sessuali da parte di familiari sono bambine (79%) e lo stesso vale per il 55% di quelle fisiche, nel 1997 i padri sono stati autori del 97% delle aggressioni sessuali e del 71% di quelle fisiche commesse da genitori contro i propri figli.


Si tratta di numeri impressionanti che dovrebbero farci riflettere sulla presenza di una violenza diffusa nella nostra società che certamente non viene importata da fuori.





Essa riguarda, come giustamente è stato ricordato, tutte le età, tutte le classi sociali, ogni  parte del mondo: prenderne coscienza, fare informazione, indurre a comportamenti consoni, responsabilizzare, non può essere compito delegato ad altri, ma va assunto in prima persona.





Un’ultima notazione ci pare però necessaria: spostare l’attenzione, così come si è cercato di fare, su comportamenti senza dubbio esecrabili quali l’infibulazione, contrapponendo l’occidentale civile a un mondo incivile a cui bisognerebbe chiedere di inchinarsi alla nostra superiorità, ci pare inaccettabile, del tutto fuorviante e contraddice le finalità stesse che la campagna si propone e i dati che abbiamo riportato.


 


Rifondazione Comunista – Laives

CAMPAGNA DEL FIOCCO BIANCO


Durante l’ultimo consiglio comunale è stata approvata all’unanimità una delibera di adesione alla “Campagna del fiocco bianco”. Si tratta di un’iniziativa che si propone di fare informazione sulla violenza contro le donne assolutamente da condividere non solo per il suo significato, non esclusivamente simbolico, ma anche perché contribuisce a sfatare alcuni luoghi comuni che generano paura, diffidenza, razzismo.





La maggior parte delle violenze contro le donne avviene infatti in ambito domestico, anche se poi fa più clamore l’aggressione da parte di un Rom o di un extracomunitario.





In Italia ogni tre giorni muore una donna uccisa per mano del proprio partner  attuale o ex, il 32% delle donne fra i 16 ed i 70 anni ha subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita, il 14,3% delle donne italiane ha subito un’aggressione dal coniuge, 4 vittime su 5 di aggressioni sessuali da parte di familiari sono bambine (79%) e lo stesso vale per il 55% di quelle fisiche, nel 1997 i padri sono stati autori del 97% delle aggressioni sessuali e del 71% di quelle fisiche commesse da genitori contro i propri figli.


Si tratta di numeri impressionanti che dovrebbero farci riflettere sulla presenza di una violenza diffusa nella nostra società che certamente non viene importata da fuori.





Essa riguarda, come giustamente è stato ricordato, tutte le età, tutte le classi sociali, ogni  parte del mondo: prenderne coscienza, fare informazione, indurre a comportamenti consoni, responsabilizzare, non può essere compito delegato ad altri, ma va assunto in prima persona.





Un’ultima notazione ci pare però necessaria: spostare l’attenzione, così come si è cercato di fare, su comportamenti senza dubbio esecrabili quali l’infibulazione, contrapponendo l’occidentale civile a un mondo incivile a cui bisognerebbe chiedere di inchinarsi alla nostra superiorità, ci pare inaccettabile, del tutto fuorviante e contraddice le finalità stesse che la campagna si propone e i dati che abbiamo riportato.


 


Rifondazione Comunista – Laives

sabato 8 novembre 2008

Clandestino l’eroe di Stegona: foglio di via

La storia di Sedat (vedi qui sotto) sta coinvolgendo molti; Sedat, l' “eroe” che ha salvato una vita . Alle volte le storie eccezionali hanno il merito di gettare uno squarcio di luce sul mondo. Quanti Sedat ci sono in Italia? Il questore dice che ha firmato a fatica il “foglio di via”: è la legge . Ha ragione . E' la legge il problema :  quella , infame, del 2002  firmata da “ Bossi & Fini”-.  In questi giorni un disegno di legge governativo la sta ulteriormente peggiorando con norme allucinanti che renderanno la vita impossibile non solo ai tanti Sedat clandestini ma anche agli immigrati regolari, quelli che hanno vinto la lotteria dei permessi di soggiorno. D' ora in poi avranno il permesso di soggiorno “a punti”, avranno ancora più problemi a vivere con la propria moglie e i propri figli, per ottenere un residenza dovranno avere certificati su certificati, per avere il rinnovo del permesso di soggiorno saranno rapinati da nuove tasse , marche da bollo e burocrazia.

Sedat è un clandestino e viene espulso. Se non lascia l' Italia sarà arrestato, finirà in galera e poi sarà un pregiudicato. Sedat, un uomo che ne ha salvato un altro.

Sedat è un clandestino , come clandestina è la zia del nuovo presidente degli Stati Uniti.  Fosse in Italia l' avrebbero espulsa  e denunciato magari il nipote per favoreggiamento dell' immigrazione clandestina!

Spero che Sedat e la sua storia facciano pensare tutti coloro che giustificano le politiche e le leggi repressive  che ci sono in Italia. Non esistono i clandestini , esistono gli uomini.




Luigi Gallo

assessore  Prc Bolzano





ALTO ADIGE - VENERDÌ, 07 NOVEMBRE 2008



























 
di Marco Rizza
 
Aveva salvato un uomo nella Rienza ma non ha il permesso di soggiorno
 
Ha cinque giorni di tempo per abbandonare l’Italia «Ma voglio restare qui»


 BRUNICO. Una vita nell’ombra, col marchio del clandestino. Da un paese all’altro, da un lavoro (in nero) all’altro. Gli amici che ti coprono, gli altri che ti guardano e pensano: chissà quello come vive. Il marchio del clandestino. Però poi succede che un uomo si butti nel fiume e che il primo a intervenire sia lui, il clandestino. Che entri nell’acqua e lo salvi, prima di tornare nell’ombra. E ora si ritrova con un foglio di via e cinque giorni per lasciare l’Italia.

 Lui ha 29 anni e si chiama Sedat Rexhepi. È un clandestino. Non ha il permesso per stare sul suolo nazionale. Non ha un lavoro fisso perché, dopo il primo periodo in Italia sotto lo scudo dell’asilo politico, non ha mai ricevuto il permesso di lavoro. E quindi niente permesso di soggiorno. È arrivato dal Kossovo («nato nell’ex Jugoslavia, di etnia kossovara», si legge nel foglio di via appena ricevuto: l’unico documento ufficiale in suo possesso) nel 2003 e da allora è rimasto quasi sempre in Alto Adige. Bolzano, Lana, Appiano, da qualche mese Brunico. Irregolare - clandestino - dal 2005. La storia di tanti. Lavori saltuari nell’edilizia, «sempre in nero». Abitazioni cambiate spesso. E il cuore che batte quando incroci una pattuglia.

 Giampaolo Mingrone, luogotenente degli alpini, domenica pomeriggio faceva jogging lungo la Rienza a Stegona. Sente un urlo, vede una coppia sbracciarsi e un giovane che corre. Il primo pensiero (quello che avrebbe attraversato la testa di tutti noi) è che quel tizio che scappa abbia combinato qualcosa. Lo insegue, ma improvvisamente lo vede scavalcare uno steccato ed entrare nel fiume. A quel punto capisce che qualcosa non quadra. Quel giovane era Sedat. Che ora racconta: «Stavo facendo un giro in bici e quando ero lungo il fiume ho sentito un rumore. Appena passato il ponte ho visto una coppia sbracciarsi. Ho guardato la Rienza e ho visto che c’era un anziano. Ho subito gettato per terra la bici, mi sono precipitato verso il fiume, ho scavalvato uno steccato e sono entrato in acqua per prendere l’uomo. Per fortuna che in quel momento è arrivato Giampaolo, sennò da solo mica riuscivo a tirarlo fuori». Insieme ci riescono. Vengono chiamati i soccorsi. Sedat sa che arriveranno anche i carabinieri, lui è bagnato ma senza documenti e preferisce non farsi trovare lì. L’alpino gli chiede almeno come si chiama e da dove viene. Sedat lo dice, poi torna nell’ombra.

 Mingrone non capisce il nome, ma non molla: sa che il giovane kossovaro merita un premio. Inizia a chiedere alla comunità albanese come può trovare quel ragazzo. Si sparge la voce, qualcuno trova Sedat e alla fine l’appuntamento viene fissato alla pizzeria al taglio in centro, il ritrovo degli albanesi di Brunico. Siamo a mercoledì sera: «Giampaolo mi ha chiesto delle mie condizioni e mi ha convinto ad andare dai carabinieri per trovare una soluzione».

 Sedat Rexhepi ha salvato un uomo, ed è questo che Mingrone vuole fare emergere e premiare. Ma la legge non prevede sconti per gli eroi. Sedat passa la giornata dai carabinieri, poi viene trasferito in questura a Bolzano. Qui riceve il foglio di via: entro cinque giorni dovrà lasciare l’Italia. Certo, una volta arrivato in Kossovo potrebbe fare domanda per entrare in Italia con un permesso di lavoro e probabilmente la questura darebbe un parere favorevole. «Ma quando vai fuori - dice Sedat - poi è difficile rientrare. Seguire le pratiche da là... Meglio restare qui». Quindi Sedat non partirà. Farà ricorso, cercherà un datore di lavoro, contatterà l’avvocato per cercare un modo di restare legalmente in Italia. «Basta che mi diano una possibilità».























L’ASSOCIAZIONE
 
Myftiu: «Irregolare non è delinquente»


 BOLZANO. «La parola eroe spesso è abusata. Secondo me Sedat è un eroe. E la sua storia dimostra che clandestino e delinquente non sono sinonimi». Tritan Myftiu è il presidente dell’associazione panalbanese Arbëria, uno dei punti di riferimento della comunità in Alto Adige perché affianca alle attività tipiche di un sodalizio anche un’attività di sportello per aiutare a cavarsela tra leggi e burocrazia. «Stiamo per inaugurare la nuova sede in via Piacenza a Bolzano - dice Myftiu - e siamo aperti tutti i giorni dalle 18 alle 20 (il telefono è 0471-1810380). Noi siamo per la legalità, la clandestinità può indurre le persone a delinquere per sopravvivere. Ma questa storia mostra che clandestinità e delinquenza non sono un binomio indissolubile».













Clandestino l’eroe di Stegona: foglio di via

La storia di Sedat (vedi qui sotto) sta coinvolgendo molti; Sedat, l' “eroe” che ha salvato una vita . Alle volte le storie eccezionali hanno il merito di gettare uno squarcio di luce sul mondo. Quanti Sedat ci sono in Italia? Il questore dice che ha firmato a fatica il “foglio di via”: è la legge . Ha ragione . E' la legge il problema :  quella , infame, del 2002  firmata da “ Bossi & Fini”-.  In questi giorni un disegno di legge governativo la sta ulteriormente peggiorando con norme allucinanti che renderanno la vita impossibile non solo ai tanti Sedat clandestini ma anche agli immigrati regolari, quelli che hanno vinto la lotteria dei permessi di soggiorno. D' ora in poi avranno il permesso di soggiorno “a punti”, avranno ancora più problemi a vivere con la propria moglie e i propri figli, per ottenere un residenza dovranno avere certificati su certificati, per avere il rinnovo del permesso di soggiorno saranno rapinati da nuove tasse , marche da bollo e burocrazia.

Sedat è un clandestino e viene espulso. Se non lascia l' Italia sarà arrestato, finirà in galera e poi sarà un pregiudicato. Sedat, un uomo che ne ha salvato un altro.

Sedat è un clandestino , come clandestina è la zia del nuovo presidente degli Stati Uniti.  Fosse in Italia l' avrebbero espulsa  e denunciato magari il nipote per favoreggiamento dell' immigrazione clandestina!

Spero che Sedat e la sua storia facciano pensare tutti coloro che giustificano le politiche e le leggi repressive  che ci sono in Italia. Non esistono i clandestini , esistono gli uomini.




Luigi Gallo

assessore  Prc Bolzano





ALTO ADIGE - VENERDÌ, 07 NOVEMBRE 2008



























 
di Marco Rizza
 
Aveva salvato un uomo nella Rienza ma non ha il permesso di soggiorno
 
Ha cinque giorni di tempo per abbandonare l’Italia «Ma voglio restare qui»


 BRUNICO. Una vita nell’ombra, col marchio del clandestino. Da un paese all’altro, da un lavoro (in nero) all’altro. Gli amici che ti coprono, gli altri che ti guardano e pensano: chissà quello come vive. Il marchio del clandestino. Però poi succede che un uomo si butti nel fiume e che il primo a intervenire sia lui, il clandestino. Che entri nell’acqua e lo salvi, prima di tornare nell’ombra. E ora si ritrova con un foglio di via e cinque giorni per lasciare l’Italia.

 Lui ha 29 anni e si chiama Sedat Rexhepi. È un clandestino. Non ha il permesso per stare sul suolo nazionale. Non ha un lavoro fisso perché, dopo il primo periodo in Italia sotto lo scudo dell’asilo politico, non ha mai ricevuto il permesso di lavoro. E quindi niente permesso di soggiorno. È arrivato dal Kossovo («nato nell’ex Jugoslavia, di etnia kossovara», si legge nel foglio di via appena ricevuto: l’unico documento ufficiale in suo possesso) nel 2003 e da allora è rimasto quasi sempre in Alto Adige. Bolzano, Lana, Appiano, da qualche mese Brunico. Irregolare - clandestino - dal 2005. La storia di tanti. Lavori saltuari nell’edilizia, «sempre in nero». Abitazioni cambiate spesso. E il cuore che batte quando incroci una pattuglia.

 Giampaolo Mingrone, luogotenente degli alpini, domenica pomeriggio faceva jogging lungo la Rienza a Stegona. Sente un urlo, vede una coppia sbracciarsi e un giovane che corre. Il primo pensiero (quello che avrebbe attraversato la testa di tutti noi) è che quel tizio che scappa abbia combinato qualcosa. Lo insegue, ma improvvisamente lo vede scavalcare uno steccato ed entrare nel fiume. A quel punto capisce che qualcosa non quadra. Quel giovane era Sedat. Che ora racconta: «Stavo facendo un giro in bici e quando ero lungo il fiume ho sentito un rumore. Appena passato il ponte ho visto una coppia sbracciarsi. Ho guardato la Rienza e ho visto che c’era un anziano. Ho subito gettato per terra la bici, mi sono precipitato verso il fiume, ho scavalvato uno steccato e sono entrato in acqua per prendere l’uomo. Per fortuna che in quel momento è arrivato Giampaolo, sennò da solo mica riuscivo a tirarlo fuori». Insieme ci riescono. Vengono chiamati i soccorsi. Sedat sa che arriveranno anche i carabinieri, lui è bagnato ma senza documenti e preferisce non farsi trovare lì. L’alpino gli chiede almeno come si chiama e da dove viene. Sedat lo dice, poi torna nell’ombra.

 Mingrone non capisce il nome, ma non molla: sa che il giovane kossovaro merita un premio. Inizia a chiedere alla comunità albanese come può trovare quel ragazzo. Si sparge la voce, qualcuno trova Sedat e alla fine l’appuntamento viene fissato alla pizzeria al taglio in centro, il ritrovo degli albanesi di Brunico. Siamo a mercoledì sera: «Giampaolo mi ha chiesto delle mie condizioni e mi ha convinto ad andare dai carabinieri per trovare una soluzione».

 Sedat Rexhepi ha salvato un uomo, ed è questo che Mingrone vuole fare emergere e premiare. Ma la legge non prevede sconti per gli eroi. Sedat passa la giornata dai carabinieri, poi viene trasferito in questura a Bolzano. Qui riceve il foglio di via: entro cinque giorni dovrà lasciare l’Italia. Certo, una volta arrivato in Kossovo potrebbe fare domanda per entrare in Italia con un permesso di lavoro e probabilmente la questura darebbe un parere favorevole. «Ma quando vai fuori - dice Sedat - poi è difficile rientrare. Seguire le pratiche da là... Meglio restare qui». Quindi Sedat non partirà. Farà ricorso, cercherà un datore di lavoro, contatterà l’avvocato per cercare un modo di restare legalmente in Italia. «Basta che mi diano una possibilità».























L’ASSOCIAZIONE
 
Myftiu: «Irregolare non è delinquente»


 BOLZANO. «La parola eroe spesso è abusata. Secondo me Sedat è un eroe. E la sua storia dimostra che clandestino e delinquente non sono sinonimi». Tritan Myftiu è il presidente dell’associazione panalbanese Arbëria, uno dei punti di riferimento della comunità in Alto Adige perché affianca alle attività tipiche di un sodalizio anche un’attività di sportello per aiutare a cavarsela tra leggi e burocrazia. «Stiamo per inaugurare la nuova sede in via Piacenza a Bolzano - dice Myftiu - e siamo aperti tutti i giorni dalle 18 alle 20 (il telefono è 0471-1810380). Noi siamo per la legalità, la clandestinità può indurre le persone a delinquere per sopravvivere. Ma questa storia mostra che clandestinità e delinquenza non sono un binomio indissolubile».













mercoledì 29 ottobre 2008

IL CASO

MERCOLEDÌ, 29 OTTOBRE 2008















 
Onda leghista da Salorno a Laives ma è decisiva la mano di Trento


 SALORNO. La Lega «non ha confini», dice ridendo l’onorevole Maurizio Fugatti. In Alto Adige serve una mano? Ecco mobilitarsi il partito da Trento. Per mesi la Lega trentina ha aiutato quell’altoatesina in una campagna elettorale capillare in Bassa Atesina. L’episodio più clamoroso è stato la manifestazione contro la moschea a Salorno. Era marzo e un po’ tutti avevano sottovalutato quell’evento. E invece alle politiche la Lega sale all’8,5%, domenica alle provinciali balza al 10,7. Poi ci sono Egna, Laives, Bronzolo: ovunque sopra il 6%. Cinque anni fa non superava il 2. Alberto Pancheri, il segretario di sezione, esulta: «La gente ci dà fiducia per la domanda di sicurezza e abolizione di privilegi». Senza il contributo della Lega trentina questi risultati non sarebbero mai arrivati. Gazebo nei paesi, volantinaggi, manifestazioni. Ancora Fugatti: «Gli amici altoatesini ci hanno chiesto una mano, noi siamo storicamente più forti e organizzati e ci siamo mossi. La gente ci ha visto a quel corteo anti-moschea ma poi ci ha rivisto per giorni e mesi. Per questo ci premia: perché siamo in mezzo a loro». In realtà bisognerà capire cosa resta del movimento leghista in questa zona se si toglie l’apporto trentino. Per ora però una cosa è innegabile: la Lega elettoralmente c’è. Prima no. Il sindaco di Salorno, Giacomozzi, dà la sua versione: «Qui abbiamo la più alta percentuale di stranieri di tutto l’Alto Adige. Non che ci siano fenomeni di razzismo, ma nelle scuole gli alunni stranieri sono ormai tantissimi e per la Lega è facile parlare alla pancia di un certo elettorato. La questione è: quella gente può trovare nelle Lega le risposte alle proprie domande? Io dico di no». Intanto però il Carroccio ha fatto il botto: «Il voto alle provinciali - conclude Fugatti - è ancora più rilevante di quello alle politiche perché non c’è il richiamo di Bossi. La verità è che ci siamo battuti tutti i mercati tra Laives e Salorno». (m.r.)

IL CASO

MERCOLEDÌ, 29 OTTOBRE 2008















 
Onda leghista da Salorno a Laives ma è decisiva la mano di Trento


 SALORNO. La Lega «non ha confini», dice ridendo l’onorevole Maurizio Fugatti. In Alto Adige serve una mano? Ecco mobilitarsi il partito da Trento. Per mesi la Lega trentina ha aiutato quell’altoatesina in una campagna elettorale capillare in Bassa Atesina. L’episodio più clamoroso è stato la manifestazione contro la moschea a Salorno. Era marzo e un po’ tutti avevano sottovalutato quell’evento. E invece alle politiche la Lega sale all’8,5%, domenica alle provinciali balza al 10,7. Poi ci sono Egna, Laives, Bronzolo: ovunque sopra il 6%. Cinque anni fa non superava il 2. Alberto Pancheri, il segretario di sezione, esulta: «La gente ci dà fiducia per la domanda di sicurezza e abolizione di privilegi». Senza il contributo della Lega trentina questi risultati non sarebbero mai arrivati. Gazebo nei paesi, volantinaggi, manifestazioni. Ancora Fugatti: «Gli amici altoatesini ci hanno chiesto una mano, noi siamo storicamente più forti e organizzati e ci siamo mossi. La gente ci ha visto a quel corteo anti-moschea ma poi ci ha rivisto per giorni e mesi. Per questo ci premia: perché siamo in mezzo a loro». In realtà bisognerà capire cosa resta del movimento leghista in questa zona se si toglie l’apporto trentino. Per ora però una cosa è innegabile: la Lega elettoralmente c’è. Prima no. Il sindaco di Salorno, Giacomozzi, dà la sua versione: «Qui abbiamo la più alta percentuale di stranieri di tutto l’Alto Adige. Non che ci siano fenomeni di razzismo, ma nelle scuole gli alunni stranieri sono ormai tantissimi e per la Lega è facile parlare alla pancia di un certo elettorato. La questione è: quella gente può trovare nelle Lega le risposte alle proprie domande? Io dico di no». Intanto però il Carroccio ha fatto il botto: «Il voto alle provinciali - conclude Fugatti - è ancora più rilevante di quello alle politiche perché non c’è il richiamo di Bossi. La verità è che ci siamo battuti tutti i mercati tra Laives e Salorno». (m.r.)