Ha ragione Claudio Vedovelli quando, in una lettera inviata alla stampa, afferma che l’intervista rilasciata dal dott. Chiereghin e da sua moglie all’indomani della rapina alla loro farmacia, apre il cuore alla speranza: se esistono persone così allora non tutto è perduto.
Nelle parole dei due farmacisti non vi è traccia di rancore, non chiedono maggiore sicurezza e più polizia, ma preferiscono analizzare le ragioni di fondo che hanno portato a quegli avvenimenti a partire da una città incapace di favorire il senso di appartenenza ad una comunità e sicuramente non a misura dei suoi abitanti. Vi è poi l’auspicio, per niente nostalgico, di quartieri in cui tutti si conoscano, il calore umano sia la norma, i bambini tornino a giocare nei cortili ed in cui perfino il degrado sia a misura d’uomo.
L’analisi è spietata e non ammette repliche.
«Qui è mancato, e manca tutt’ora, un progetto globale, di ampio respiro; si sono dati da fare gli architetti, con le loro idee da accademia, ma gli amministratori non hanno fatto il loro dovere. Basti pensare alle licenze commerciali. A una piazza servono bar, ristoranti, tabacchini, gelaterie. Punti di aggregazione. Verde, frescura, ombrelloni. Non il deserto di pietra.(..) si è persa l’occasione di trasformare la realtà in qualcosa di vivo, positivo, partecipato.».
Noi riteniamo che a queste parole non vi sia altro da aggiungere, ma le offriamo al sindaco ed agli amministratori di Laives affinché, nell’atto di deliberare la nuova piazza e più in generale l’assetto urbanistico della nostra città, possano evitare gli errori denunciati con lucida semplicità dai coniugi Chiereghin.
Rifondazione Comunista - Laives
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